giovedì 21 gennaio 2010

«service dog» in aiuto di malati e disabili. Non solo cani-guida: dagli Usa nuova tendenza

 
NOSTRO COMMENTO IN FONDO..   
 

I «service dog» in aiuto di malati e disabili. Non solo cani-guida: dagli Usa nuova tendenza

Utili anche a epilettici, diabetici, paraplegici
Ci sono quelli addestrati a portare al padrone la scatoletta dei farmaci. Altri invece, in caso di malore, recuperano un telefono portatile e chiamano un numero d'emergenza premendo un tasto speciale o aprono la porta e accompagnano i soccorritori. Medici a quattro zampe, verrebbe da ribattezzarli senza offesa per i camici bianchi bipedi. All'estero, i cani da ausilio sono ormai un'istituzione. E non parliamo soltanto della storica funzione di accompagnamento dei ciechi.
I cani-guida sono stati i precursori e tuttora svolgono un ruolo fondamentale nella vita di migliaia di non vedenti o ipovedenti. In Svizzera, Germania e Austria, nazioni «madrine» dei servizi di cani-guida, prima, ma soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti, poi, gli amici dell'uomo si sono specializzati e godono anche di uno status giuridico particolare. Cani da caccia che «fiutano» il tumore al polmone, alla mammella o alla vescica o che sono capaci di prevedere un attacco epilettico hanno dato vita all'ipotesi di una «cinodiagnostica». La prestigiosa Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota, ha dedicato ai service dog un lungo articolo nella sua ultima newsletter, riconoscendone l'importanza in molte patologie.
Oltre ai cani che assistono i pazienti in carrozzina, ci sono i «Fido» specializzati per chi ha problemi di udito. Gli allevamenti statunitensi di organizzazioni come Delta Society, International association of assistance dog partners o Service dog central forniscono addestramento specifico ai cani al servizio di diabetici, autistici, malati di Alzheimer o di Parkinson o con problemi psichiatrici. I cani imparano così ad accorgersi quando il livello di zucchero nel sangue è basso, annusando l'alito del padrone. Gli animali di taglia più robusta sono allenati anche come stunt-dog: si gettano davanti ai padroni per attutire una caduta oppure riescono a rimetterli in equilibrio se barcollano.

E in Italia? Abbiamo una grande tradizione nel campo dei cani-guida per ciechi con due scuole nazionali: quella di Scandicci (Firenze), che nel 2009 ha festeggiato gli 80 anni di vita, e il servizio cani guida Lions di Limbiate (Milano) la cui fondazione risale a cinquant'anni fa. Nel 2001, inoltre, la Regione Sicilia ha istituito aMessina il Centro «Helen Keller» dell'Unione Italiana Ciechi. Sul versante dei serviceperò, siamo ancora indietro. Oltre alla mancanza di una cultura diffusa e quindi di una richiesta da parte della gente, i centri non sono neppure attrezzati.
L'unico progetto pilota, è decollato a Scandicci nel 2008. Brina, un pastore tedesco di 10 anni, Ekimi, pastore svizzero di 2 e Leo un meticcio di 3 anni hanno imparato a lavorare in team con i loro padroni, costretti su una sedia a rotelle: dall'apertura delle porte, all'uso del telesoccorso fornito dalla Asl. A fine ottobre, le tre «coppie» hanno fatto una dimostrazione pubblica delle loro abilità. «Il progetto si concluderà quest'anno dice Massimo Baragli e già una decina di disabili ne hanno fatto richiesta» .

Ruggiero Corcella
 
 
nostro commento.. 
 
Ragazzi poveri cani, gli facciamo fare di tutto.
Comunque dharma oltre ad essere il cane guida di un ciecaccio come pipistrello alias sergio polin,
ha diverse funzioni.
La mattina, su indicazione dell'azienda per cui lavora il suo padrone, lo trascina con la sua poderosa dentatura da pastore tedesco,verso la porta perchè non vuole alzarsi per andare al lavoro.
Spesso chiama il taxi per farlo deportare al lavoro, ogni tanto usa il tessrino per entrare in ufficio, continuando amordergli le chiappe per incentivarlo ad andare in ufficio.
La moglie di pipistrello, inoltre gli ha dato l'incarico di annusargli la panza, per determinare tutti i grassi e i carhòboidrati assunti illegalmente durante il pranzo.
Inoltre è stata addestrata a tirare lo sciaquone, perchè Fanale alias sergio prelato, si dimentica di farlo spesso e volentieri  rischiando di intossicare tutta l'area.
Spesso dharma, quando  sotto casa del padrone, qualcuno occupa il parcheggio numerato del medesimo da una mano a compilare i verbali dei vigili,che si sa scrivono da cani, quindi tanto vale far scriver un cane.
L'ultima trovata di pipistrello, è stata far compilare a dharma il 730 a giugno, chiamasi cane commercialista.
Sapeva compilare il bollettino dellì'ici ma ormai non è più necessario.
C'è da chiedersi  in sicilia il ruolo del cane multi funzione. Il primo pensiero è stato delle forze dell'ordine che hanno addestrato i cani a fiutare i mafiosi. Il cane si è rifiutato di lavorare in quanto i cani guida riadattati siciliani sono omertosi per  natura.
 
 
 

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Miracolata e... conserva la pensione

 
PORCA MISERIA I SOLITI RACCOMANDATI..
 
 
   
FOLLONICA. La storia della guarigione-miracolo di Erminia Pane in un libro di Alcide Landini. Il noto commercialista follonichese è l'autore della prima e unica pubblicazione dedicata alla storia della donna guarita dalla cecità nel 1982 durante un pellegrinaggio a Lourdes, un miracolo che è stato ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa. Oggi Erminia Pane, nata a Napoli 68 anni fa, vive a Milano: la sua storia è raccontata nelle pagine di «Erminia Pane, uno strumento al servizio di Dio - La storia e le testimonianze di una miracolosa guarigione asseverata a Lourdes». Il libro è stato appena pubblicato da una piccola casa editrice grossetana, addirittura a spese dell'autore, ma alcuni grandi editori nazionali se ne stanno già contendendo i diritti. «Ho conosciuto Erminia Pane nel 2006, durante un pellegrinaggio a Lourdes spiega Alcide Landini e sono rimasto colpito dalla sua storia. Aveva saputo che sono un commercialista e mi chiese un parere, raccontandomi la sua vicenda con l'Inps: più volte aveva chiesto all'istituto di previdenza di non riconoscerle più la pensione che percepiva per la cecità, assicurando che era tornata a vedere dall'occhio destro nonostante fosse nata senza la retina». « Evidentemente però lo Stato continua Landini non crede ai miracoli, né li riconosce: gli esami dimostrano che Erminia Pane non ha la retina e di conseguenza l'Inps continua a versarle la pensione. Ma il miracolo sta proprio in questo: Erminia vede da quell'occhio senza avere alcun collegamento tra il bulbo oculare e il cervello. Un miracolo che si è compiuto il 3 novembre 1982 a Lourdes ed è stato riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa nel 199 4». Non solo: nel 1977 Erminia Pane era stata colpita anche da un grave aneurisma cerebrale che le aveva lasciato una emiparesi all'occhio sinistro, quello sano. «E quel giorno di novembre del 1982 conferma Landini è guarita anche dalle conseguenze dell'ictus. Negli ultimi anni ci siamo conosciuti e le ho suggerito di raccontare la sua storia: all'inizio era un po' titubante, poi ha accettato. Ho trascorso un paio di giorni a casa sua a Milano, registrando tutto, così è nato il libro. E' il primo e l'unico finora scritto sulla storia di Erminia Pane. Racconto la sua storia, riporto le testimonianze di chi l'ha conosciuta e alcune guarigioni che si devono a lei. Ci sono anche i documenti, referti medici compresi, e i messaggi che Erminia scrive nei momenti di trance. E' stata scelta da Dio come strumento di evangelizzazione. Ora ho fatto stampare il libro a mie spese da una piccola casa editrice grossetana in 4mila copie: attualmente conferma Alcide Landini è in vendita in una libreria di Lourdes e in una piccola libreria di Follonica. Ma presto potrebbe avere una diffusione assai più ampia in tutta Italia e non solo: le case editrici San Paolo e Mondadori hanno manifestato interesse a pubblicarlo».

di Gianluca Domenichelli


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Finanziamenti speciali per i clienti disabili

 

nostro commento in fondo ...

    Finanziamenti speciali per i clienti disabili

SONDRIO. Il Gruppo bancario Credito Valtellinese presenta "Creval Accanto a Te", un progetto che si pone l'obiettivo di sostenere la clientela diversamente abile attraverso una maggiore attenzione alla relazione e una linea di prodotti bancari vantaggiosi studiati per soddisfare le loro esigenze, che si inserisce nella gamma dei prodotti etici, come "Conto No Profit", "Creval Energia Pulita" e "Creval Lavoro Sicuro. Creval Accanto a Te offre un conto corrente a zero spese, tassi d'interesse competitivi, bancomat e dossier-titoli gratuiti ed un finanziamento agevolato per l'acquisto di mezzi di trasporto e di ausilio. Il tutto affiancato da un programma di form azione degli operatori di filiale avente come fine la sensibilizzazione degli stessi verso i bisogni della clientela.
Con Creval Accanto a Te sarà più facile l'accesso in Banca non solo per quanto riguarda l'eliminazione progressiva delle barriere architettoniche, ma soprattutto per l'accoglienza che verrà riservata dai nostri operatori alle persone diversamente abili grazie ai corsi di formazione e ad una guida informativa su alcune norme comportamentali, realizzata in collaborazione con l'ENS (Ente Nazionale Sordi) e con l'Unione Italiana Ciechi e l'U.N.I.T.A.L.S.I. di Sondrio.
«L'iniziativa nasce in un contesto di interventi rivolti al sociale: alla persona, ai suoi valori ed all'ambiente in cui essa vive, in linea con i nostri valori di solidarietà, sussidiarietà e vicinanza al territorio», afferma Miro Fiordi, Direttore Generale della Capogruppo Credito Valtellinese -. Creval Accanto a Te sottolinea l'elemento distintivo che caratterizza il nostro modo di essere e di fare banca, ovvero l'attenzione alla relazione personale a lungo termine con la clientela».
 
 
nostro commento 
 Mazza sonO alla frutta le banche, adesso ci provano, facendo dei corsi di formazione per  fregare i clienti con disabilità.
Forse perchè i disabili per adesso, non hanno perso le loro sovvenzioni.
Non ci provate, non siamo mica scemi e voi, non ci cascate. L'unica cosa da fare e stare alla larga, facendo anche dei corsi,  cari ciecati,  vi ipotecheranno il bastone bianco e il cane guida.
Cari bancari, sappiate che noi capiamo una sola lingua: se non costa o costa poco bene, altrimenti....segno dell'ombrello.
Di solito ci rivolgiamo alle banche online dove le commissiooni sono irrisorie, i prestiti li abbbbiamo già contratti con altre banche, quindi una volta ci fregate, due  no..

 

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L´uomo cieco del bosco

NOSTRO COMMENTO IN FONDO   
L´uomo cieco del bosco

Le storie. Si chiama Wolfgang Fasser, ha perso la vista a quindici anni, seduto davanti a un ghiacciaio mentre "quella lucentezza diventava sempre più opaca". Ha viaggiato, ha fatto il fisioterapista, ha lavorato in Africa, ha trovato casa in Toscana. Ora fa la guida di notte per i sentieri di montagna che "sente" soltanto lui
Quando entri nel buio esci dalla vita virtuale, quella sollecitata dalla velocità, governata dalle macchine, depositata su tutte le superfici che scorrono, rendendola inafferrabile.
La cosa curiosa è che di notte, nel sonno, dentro ai sogni io ci vedo Ci vedo benissimo Vedo la faccia di mia madre Vedo la neve, vedo il filo d´erba, la mosca, vedo tutti i colori

QUORLE (Arezzo). Wolfgang Fasser, cinquantatré anni, viaggiatore di molte avventure, abita ai margini del bosco di castagni e faggi, in una piccola valle di incanti, tra Arezzo e Poppi. Sta in una casa di pietra con il grande camino dove cuociono castagne. Ha un orologio parlante e il cellulare imita il pettirosso all´alba. Quando scende il tramonto e la notte allaga il bosco, lui inizia la traversata. Porta persone dentro a un viaggio speciale. Nel cuore nero del bosco. In quel buio che moltiplica tutti i rumori della vita - dal vento alla paura - e poi li inghiotte in un silenzio che sprofonda e rende vane tutte le mappe. Tranne la sua. Perché lui del buio conosce tutti i sentieri, ci cammina da molte vite, dal giorno in cui i suoi occhi si sono spenti per sempre. Dice: «Nel vostro mondo io sono cieco, ma al buio divento l´unico vedente».
Wolfgang è una guida in molti sensi. Parla lento, cammina lento, conosce l´invisibile. Cioè quella parte del mondo che più ci inquieta, che sempre ci sfiora, e che noi illuminiamo costantemente di suoni, relazioni a occhi spalancati, colori sonori, grazie agli schermi accesi e al lucente rumore di fondo che arreda tutta la nostra vita, tranne i misteri del sonno. Dice: «Quando entri nel buio, esci dalla vita virtuale, quella sollecitata dalla velocità, governata dalle macchine, depositata su tutte le superfici che scorrono, rendendola inafferrabile».
Nel buio del bosco ti metti in ascolto. Calcoli ogni rumore. Respiri e senti il respiro delle cose che ti circondano. Cammini un passo alla volta e, a ogni passo, tasti il terreno. Senti la terra, il sasso, la pendenza, la trappola delle spine, il passo che incontra l´ostacolo e quello che si fa strada. Dice: «La lentezza diventa il tuo equilibrio, che non è nuovo, è solo ritrovato». E il bosco di notte non è più il luogo dove non si vede e ci si perde, ma una via d´uscita dal labirinto diurno dei vedenti.
Lui l´ultimo giorno da vedente, l´ultimo giorno della sua prima vita, sulle montagne svizzere, cantone tedesco di Glarona, me lo racconta davanti al fuoco. Aveva quindici anni, da otto i suoi occhi si stavano spegnendo per una malattia senza scampo, la retinite pigmentosa. «Vivevamo in alto, tra i grandi prati. Eravamo cinque fratelli. Sempre nella luce, davanti alle montagne. Alla sera mio padre e mia madre ci riunivano e ascoltavamo Mozart. In primavera la malattia accelerò. Una mattina cominciai a salire verso le grandi pareti del Todi, 3.600 metri di altezza. A ogni passo le cose intorno si spegnevano. Mi fermai dopo sei ore. Ero seduto davanti al ghiacciaio, mi ricordo l´odore del vento, il sole che brucia. E quella lucentezza che diventava opaca. Era il sipario della mia nuova solitudine e quel giorno l´ho accettata».
Ma il silenzio ascoltato tra quelle rocce non è stata la sua resa, bensì l´inizio della sua ostinazione. Ci ha messo dieci ore a tornare indietro («c´erano dei punti in cui andavo a tentoni, era la prima volta») e da allora non si è più fermato. Ha imparato a leggere braille. Ha imparato a suonare il sax. Ha imparato a memorizzare lo spazio, le traiettorie, a sentire gli ostacoli, a percepire il pericolo. Ha imparato a fare il fisioterapista, tre anni di corso a Zurigo, il diploma, le mani che sentono con più chiarezza quello che nel corpo dell´altro non si vede. Ha imparato a chiedere aiuto, anche per strada, alle persone. Ha imparato a fidarsi. E ha imparato a conoscere i propri limiti. Poi un giorno è partito.
Ma non è andato dietro l´angolo. È volato quindicimila chilometri più a sud, tra le montagne del Lesotho, Africa meridionale, due milioni di abitanti, un solo ospedale, il Queen Elizabeth, un solo fisioterapista. «Sono arrivato nell´anno 1981. Paese poverissimo, malattie, polvere, un po´ di bestiame. C´era talmente poco - dice sorridendo - che anche un fisioterapista cieco era qualcosa». Ci è rimasto tre anni. Poi altri due. Camminava da un villaggio all´altro per andare a curare i suoi pazienti. «In Africa non cammini mai da solo, neanche di notte. Tutti mi conoscevano, tutti mi raccontavano la loro storia in cambio della mia». Quando non cura, Wolfgang insegna. Organizza dei corsi di formazione, una catena virtuosa che da allora a oggi ha formato decine di nuovi fisioterapisti e che lui va a rifinire ogni anno per sei settimane.
Quando rientra nel nostro mondo, Zurigo è diventata inabitabile: «Dopo l´Africa volevo un luogo dove poter respirare, camminare, vivere. Conoscevo la Toscana, la comunità di Romena, questi piccoli paesi dell´Anno Mille, le loro chiese e la buona gente. Sono arrivato la prima volta, il profumo di questi boschi mi ha conquistato, e sono rimasto».
Quorle ha ventotto abitanti. Sta nascosta dentro le spalle dell´Appennino. La valle ha canaloni e boschi intatti. Wolfgang li conosce palmo a palmo. Quando era vivo il suo cane Dusty li ha attraversati tutti, «insieme facevamo settanta chilometri a settimana». Ora che è rimasto solo («e in lutto da un anno») ha molto ridotto le visite, riceve i pazienti a casa, anche se c´è sempre qualche anziano che non si può muovere: «Magari sono bloccati dalla malattia. E allora vado io».
Wolfgang si alza tutte la mattine all´alba. Cammina almeno tre ore. Ammirare quello che non vede è il suo modo di pregare. Studia nuove strade e ripassa quelle vecchie. Ascolta. Talvolta gira con un microfono, la cuffia e il registratore. «Il microfono è il mio cannocchiale, l´ingrandimento che mette a fuoco tutti i suoni». Dice: «Le mie mappe sono mentali e sonore. Riconosco i punti in cui le pareti della valle sono più ampie. Ogni rumore è una traccia. Un trattore o una moto che passano sull´altro versante lasciano una scia luminosa dietro ai miei occhi. Poi ci sono gli animali che mi aiutano».
Riconosce la voce dei cani di ogni casa nei dintorni. I punti in cui passano i caprioli quando vanno a bere. I sentieri dove sale il bestiame. Sa dove sono i nidi, quello dell´allocco e della tortora, sente i richiami, calcola le distanze.
Dice che non si è mai perso davvero, nemmeno quando la neve cancella il bosco e tutti i rumori diventano cotone. Dice che non ha mai avuto paura davvero, nemmeno quelle volte in cui sente passare i lupi in branco: «Ce ne sono una trentina da queste parti. Mi è capitato di percepire la loro presenza prima ancora di sentirli. Occhi che ti guardano da molto lontano, come una piccola onda di energia che ti sfiora. Poi all´improvviso uno starnuto, o un soffio, o un cespuglio che si muove e quella sensazione che sparisce: se ne sono andati».
Quasi ogni giorno qualcuno viene a trovarlo. Specialmente giovani. Lui li mette in fila e li porta «a esplorare il bosco e anche un po´ se stessi». Per loro ha scritto con Massimo Orlandi un libro: Invisibile agli occhi, che è poi la sua storia, le molte cose viste da un uomo che vede in un modo speciale. «Con loro - racconta - riapro vecchi sentieri. Ce ne sono tanti abbandonati da queste parti, che magari ricordano solo i boscaioli più anziani».
Aprirsi una nuova strada nel bosco (della vita) è un buon insegnamento per i ragazzi. Vuol dire non accontentarsi della strada vecchia e cercare la propria. È il più antico dei viatici. Vale quanto l´ultimo segreto che mi svela prima del tramonto, prima del bosco di notte, quando parliamo del buio: «La cosa curiosa - mi dice allegro - è che di notte, nel sonno, dentro ai sogni io ci vedo. Ci vedo benissimo. Vedo la faccia di mia madre. Vedo la neve, il filo d´erba, la mosca, vedo tutti i colori». Che è poi l´elogio più bello del sogno e anche la sua forza, contro tutte le malattie della vita. 

 
NOSTRO COMMENTO.. Pino Corrias 
 
Col cavolo che ci faremmo  guidare nel bosco di notte da un cecato! Noi non ci fidiamo dei vedenti figuriamoci di un ciecagnolo.
A parte la retorica sempre un pò presente in questi argomenti, l'amico sopra sembra interessante.
Noi in africa ci siamo già, ma quella che crede nell'apartade, come in calabria.
Infatti a Rosarno adesso per  raccogliere le arance,  chiameranno polacchi, romeni e  così li potranno chiamare intracomunitari.

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martedì 5 gennaio 2010

Quel ragazzo senza braccia sul treno dell'indifferenza

nostro commento in fondo ...

   
Quel ragazzo senza braccia sul treno dell'indifferenza

Privo di biglietto perché impossibilitato a farlo mostra i soldi al controllore. Ma viene costretto a scendere dalla polizia ferroviaria
Quel ragazzo senza braccia sul treno dell'indifferenza

CARO direttore, è domenica 27 dicembre. Eurostar Bari-Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po' tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.

Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. È salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent'anni.

Si parte. Poco prima della stazione di (...) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: "No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap". Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi. Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l'umiliazione ripete "Handicap, handicap".

I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato.

La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no.
Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po' più di compassione.

Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c'entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia "deposizione", il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. "Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?" chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: "C'è l'assistenza". "Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service" ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l'andata l'Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. "E lo sa perché?" ho concluso. "Perché quelle persone le braccia ce l'avevano...".

Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l'evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testa e tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap.

La risposta del capotreno è pronta: "Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!". E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (...). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell'espressione del viso o nell'incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: "Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare". Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, però senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante.

Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l'impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno.

Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. "Perché mi hai offesa". "Ti ho forse detto parolacce? Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?" le domando sempre più incredulo. Risposta: "Mi hai detto che sono maleducata". Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno.

Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (...). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.

di Shulim Vogelmann (l'autore è scrittore ed editore) 
 
 
NOSTRO COMMENTO ..
 
Cominciamo bene il 2010 una notiziola niente male.
Naturalmente resta inteso che se tutto quello scritto sopra fosse verificato e confermato ci sarebbe da farsi venire l'ulcera.
Prima di tutto se noi viaggiatori dovessimo applicare la normativa, soprattutto sull'accessibilità piena, di treniitalia non partirebbe neanche un treno.
Quindi le ferrovie patrie prima di tirare fuori i regolamenti, farebbero bene a non scagliare la prima pietra. Generalmente il personale viaggiante  per  convinzione o per obbligo professionale, mediamente è disponibile e ragionevole.
In questo caso ravvediamo alcuni comportamenti che rasentano la maleducazione: discriminazione, irragionevolezza, mancanza di sensibilità da nonconfondere con il pietismo, impedimento ad un viaggiatore di proseguire per la sua meta, dunque incostituzionale ecc.
La polizia ferroviaria avrebbe dovuto far ragionare il cohntrollore, evidentemente in astinenza da  contravvenzioni e probabilmente infastidita dall'atteggiamento antiestetico del viaggiatore in questione.
Noi ravvisiamo tanti d quei comportamenti, di rigidità mentale, insensatezza da regolamento alla mano, da rasentare la denuncia penale nei confronti di chi li attua.
La cosa che ci dispiace è che il passeggero non ha potuto fare il segno  dell'ombrello ai poliziotti e al controllore, magari l'avrebbero tratto in arresto, ma si sarebbero resi conto che il carcere spesso non è accessibile per chi ha un handicap.
Da notare che l'applicazione del regolamento va sempre accostato con la realtà del momento vissuta dai viaggiatori, dobbiamo indagare ma ci sembra che una persona disabile non sia obbligata a fare il biglietto in stazione ma può richiederlo a bordo senza aggravi.  Naturalmente è scontato che le biglietterie automatiche sono ad altezze raggiungibili solo da un fantomatico uomo medio di  1.80 dotato delle dita dell'uomo ragno. Provare  per credere.
Per esperienza personale abbiamo notato che l'accanimento dei controllori, viene espresso nei confronti di cittadini viaggiatori normali, la teppaglia e la gente poco raccomandabile diventa invisibile agli occhi dei solerti tutori del regolamento ferroviario.
Interi squadroni di ultrà, devastano convogli senza essere molestati dal regolamento. Naturalmente a volte bisogna applicare il regolamento senza correre rischi.
Ammettiamo per pura ipotesi, che questo ragazzo volesse fare il furbo, come spesso capita a tutti nel nostro paese.  Si poteva far finta di niente come si fa spesso con la teppaglia. Magari facendogli  capire che lo avevano pinzato che era stato graziato perchè  sotto le feste. Riconoscendogli un pizzico di iniziativa rappresentata dal fatto di marciarci un pò, che sarà mai..
 
 

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Fish: "Da Trenitalia atteggiamento legittimo, ma c'è stata discriminazione"

nostro commento in fondo ...

   
Fish: "Da Trenitalia atteggiamento legittimo, ma c'è stata discriminazione"

ROMA. Trenitalia ha formalmente rispettato le norme e il suo atteggiamento è stato del tutto legittimo, ma quanto accaduto rappresenta comunque una violazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Il "ragazzo senza braccia" trovato senza biglietto dal controllore sull'Eurostar Bari-Roma di domenica 27 dicembre e fatto scendere ad una stazione successiva dalla polizia ferroviaria ha effettivamente subito una "discriminazione basata sulla disabilità", ma altrettanto negativa sarebbe stata la soluzione buonista di "chiudere un occhio" proprio in ragione delle sue condizioni fisiche: "Non serve un atteggiament o caritatevole, alla volemose bene', ma un intervento che vada nella logica dei diritti umani", in modo da favorire l'autonomia della persona con disabilità. Così Pietro Barbieri, presidente della Fish (Federazione italiana superamento handicap) commenta il caso, raccontato oggi in prima pagina dal quotidiano "La Repubblica", del giovane passeggero privo degli arti superiori trovato senza biglietto: una lettera che, rilanciata anche da sito on line, ha scatenato centinaia di commenti e di prese di posizione.

Per il presidente della Fish "Trenitalia ha rispettato alla lettera le norme di ordine amministrativo" relative al pagamento del biglietto e all'accessibilità dei treni, e pertanto "su basi puramente formali" l'atteggiamento del controllore è stato legittimo. A non essere stata rispettata, però, è la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ratificata anche dall'Italia ed entrata in vigore: "Il giovane ha subito una discriminazione, siamo di fronte ad una violazione dei diritti umani". Barbieri spiega che le norme di Trenitalia prevedono un "percorso speciale" per le persone disabili: prenotazione telefonica (con numero non verde, ma a pagamento), presentazione almeno 30 minuti prima della partenza del treno, servizio di accompagnamento e assistenza per acquisto del biglietto e sistemazione in carrozza: se il giovane avesse seguito queste norme, non ci sarebbe stato alcun problema. Il punto però è che "questo giovane probabilmente neppure sapeva di que sto iter, e in ogni caso non è tenuto a conoscerlo". Ad essere messa a repentaglio qui è l'autonomia della persona con disabilità, la possibilità o la volontà che un disabile, laddove la sua condizione lo permetta, possa salire e scendere dal treno in autonomia. Quella capacità e possibilità di autonomia che la Convenzione Onu riconosce come uno dei punti cardine per il dispiegarsi degli stessi diritti umani di una persona. C'è un gap da colmare, dunque, secondo Barbieri, fra le norme amministrative i principi sanciti dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità.

E per sottolineare che "bisogna muoversi in un'ottica di diritti umani", Barbieri mette in guardia da quell'atteggiamento buonista incarnato da quanti sottolineano che, data la particolarità del caso (un giovane senza braccia), il controllore avrebbe potuto "chiudere un occhio". "Sarebbe stata una doppia discriminazione argomenta Barbieri - perché al mancato riconoscimento di autonomia si sarebbe aggiunto un atteggiamento paternalistico e caritatevole, alla volemose bene', che non avrebbe contribuito a mutare di una virgola il grado di riconoscimento dei diritti umani di quella persona". E nello specifico, anche dal punto di vista della comunicazione, il fatto non avrebbe avuto il risalto che ha avuto, contribuendo ad una riflessione in merito. "Non serve il buonismo conclude Barbieri ma il rispetto dei diritti umani riconosciuti anche dalla Convenzione Onu". (ska) 
 
 
NOSTRO COMMENTO
 
Nel nostro libro colpo di stato, additiamo l'inadeguatezza dei dirigenti che dovrebbero garantire i diritti dei disabili.
Larisposta del presidente dell afisch ci sembra, molle, inadeguata, accondiscindente, complice, dilatoria,sembra lavorare per le ferrovie.
"Ci scusiamo per il disagio se l'abbiamo sbattuta giuù dal treno ma che ci frega, ma che ci importa stai attento un altra volta!" Questo dirigente della fisch dovrebbe incacchiarsi come una belva e fare il diavolo a quattro, facendo passare la voglia alle patrie ferrovie di avere questi atteggiamenti bisbetici.
Ma d'altronde che vogliamo pretendere da gente preposta a questo se non qualche bisbiglio?
Ci verrebbe voglia di cambiare il finale del nostro libro, chi non l'avesse letto può provvedere ordinandocene una copia.

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"Disabili in viaggio" di Franco Bomprezzi

nostro commento in fondo ...
"Disabili in viaggio" di Franco Bomprezzi

Ho atteso qualche giorno. Avevo letto subito su Repubblica.it la denuncia di Shulim Vogelmann, giovane scrittore nato a Firenze, di cultura ebraica e cittadinanza anche israeliana, testimone di un trattamento discriminatorio nei confronti di un viaggiatore disabile in treno. Un racconto a tinte forti, pieno di particolari, ma anche, per certi versi, ai limiti dell’incredibile, pur essendo io, abbastanza logicamente, pronto a prendere le parti di una persona con disabilità che venga maltrattata.

La storia è nota ormai quasi a tutti, perché è diventata una delle notizie più commentate e riprese da giornali, tv e radio a fine d’anno. Una storia di ordinaria maleducazione, peggio, di maltrattamento verbale da parte del personale delle Ferrovie e della Polfer, nella totale indifferenza degli altri passeggeri, tranne lo scrittore, che racconta tutto per filo e per segno. In estrema sintesi un ragazzo disabile probabilmente romeno, privo di braccia, sale in treno senza biglietto ma con i soldi giusti pronti per pagarlo. Siamo sull’eurostar Bari-Roma del 27 dicembre. Atteggiamento ostile del controllore donna, parole pesanti nei confronti dei disabili da parte degli agenti della Polfer, unico paladino del malcapitato disabile è lo scrittore che peraltro non provvede direttamente a pagare il biglietto mancante, ma si limita a intavolare una discussione con il capotreno. Alla fine, secondo Vogelmann, il giovane disabile viene fatto scendere dal treno.

Prima ancora che sia possibile avere una versione da parte delle Ferrovie, che in verità subito si scusano in attesa di verificare la vicenda, si apre sul sito di Repubblica.it una valanga incontenibile di commenti, quasi tutti di indignata solidarietà, senza alcun dubbio, nella convinzione che la storia non solo sia credibile così com’è stata raccontata, ma la sua veridicità dipende dal fatto che si inserisce in un quadro disastroso di episodi, citati dai lettori, a conferma della maleducazione dei ferrovieri, dei passeggeri, del popolo italiano, e così via lamentando.

Per la verità arrivano anche i commenti di altri passeggeri di quel treno, che non confermano affatto la versione dello scrittore fiorentino, ma anzi, raccontano di un finale diverso. Leggiamo su un altro articolo di Repubblica.it, “Secondo quanto scrive un testimone, l’atteggiamento degli altri passeggeri non è stato affatto indifferente. “Sono uno dei passeggeri che si trovava accanto al ragazzo nel ‘famigerato’ viaggio - si legge in uno dei commenti -. Mi permetto di rettificare l’articolo (…). E’ vero, la ragazza e i due agenti della Polfer saliti alla stazione di Foggia si sono rivolti al giovane romeno con toni francamente evitabili, ma parlare dell’indifferenza dell’intero vagone è assolutamente scorretto - conclude -. Su richiesta della ragazza è infatti intervenuto un altro controllore e il suo comportamento è stato ineccepibile. Ha evitato che il ragazzo disabile pagasse la tratta precedente (a suo rischio) e si è impegnato personalmente a comprargli il biglietto con la modalità self service senza ulteriori sovratasse”. Nel medesimo articolo il quotidiano on line dà conto della versione delle Fs: “Il viaggiatore non è mai stato fatto scendere dal treno, il biglietto gli è stato acquistato a Foggia dal personale di bordo. Il Gruppo Fs è da sempre attento e sensibile ai diritti dei diversamente abili”. La capotreno in servizio sull’Eurostar 9354 Bari-Roma di domenica 27 dicembre, durante le operazioni di controllo dei biglietti ha riscontrato che un viaggiatore privo del braccio sinistro ma in grado di parlare in modo corretto, era senza biglietto. L’ha quindi informato delle regole di ammissione sul convoglio. “Considerata la particolare condizione del passeggero - si legge sul comunicato ufficiale delle Fs -, risulterebbe che la Capotreno si sia ulteriormente attivata per consentire al cliente di proseguire il viaggio sullo stesso treno e senza alcuna sanzione. Per questo è scesa durante la s osta a Foggia provvedendo a recarsi in biglietteria e acquistando il biglietto per conto del passeggero”.

Questa versione coincide con le precisazioni e le rettifiche già espresse dai lettori di Repubblica.it, ma non viene inserita nel corpo del primo articolo, quello di denuncia del fatto, e così i commenti continuano a essere raccolti senza posa, contribuendo a creare il convincimento che sia avvenuta una grave e inaccettabile discriminazione.

Ne traggo ora alcune riflessioni, che offro al vostro pensiero perché magari tutti insieme possiamo trarre qualche piccolo insegnamento dalla vicenda.

Secondo me la verità è à meta strada. Ovvero: la persona disabile è salita sul treno senza conoscere le procedure che consentono di essere registrati (carta Blu delle Ferrovie per i viaggiatori disabili) e quindi assistiti secondo regole note da tempo. Il personale delle Ferrovie sicuramente non brilla per preparazione nel trattare con viaggiatori in difficoltà e l’atteggiamento peggiora quando si ha a che fare con cittadini stranieri. Ma alla fine il buon senso e le regole prevalgono, e infatti il viaggiatore non ha pagato sovrapprezzo, e ha potuto completare il suo percorso, sia pure dopo una disavventura non piacevole.

Seconda considerazione: la disabilità fa notizia solo quando è clamorosa, altrimenti niente. In questo caso ha fatto presa il racconto ricco di particolari emotivi, compresa una discutibile descrizione delle condizioni fisiche del viaggiatore disabile: “Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle - scrive Vogelmann - È salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno”. E più avanti: “articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: “No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap”. Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi”… e inf ine: “Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l’umiliazione ripete “Handicap, handicap”. Insomma una descrizione alquanto indelicata ma strappacuore. Giusto quello che serve per guadagnarsi l’home page del quotidiano on line e il link in centinaia di profili di facebook e note di commento sdegnato, da parte di lettori in buona fede ma del tutto privi, secondo me, di un minimo spirito critico, oserei dire di un minimo spirito giornalistico.

Da quando sono giornalista, gennaio 1984, ho sempre pensato che le notizie vanno verificate con cura. A maggior ragione se si tratta di fatti che suscitano emozioni forti e condivisione, pathos. In questo caso sin dall’inizio ho nutrito qualche dubbio. Prima di tutto perché ho viaggiato molto in treno, e non ho mai incontrato episodi di così evidente inciviltà. Casomai, e qui sta il punto, ho sempre potuto constatare una certa difficoltà a garantire al meglio i servizi promessi. L’assistenza è efficiente solo sulle tratte principali, le stazioni non servite sono la maggioranza, chi vuole viaggiare in treno e vive in provincia non può proprio farlo, ancora adesso, in moltissime regioni italiane. L’incarrozzamento delle sedie a rotelle spesso è garantito da mezzi obsoleti o non funzionanti. Ora bisogna prenotare con due giorni di anticipo, il che oggettivamente discrimina rispetto agli altri viaggiatori. Voglio dire: i disservizi esistono ma sono altri, e rientrano in un giudizio complessivo scadente sulla qualità e sulla omogeneità del trattamento da parte delle Ferrovie. Un problema dunque che riguarda tutti, non solo le persone con disabilità.

Altra riflessione: si sta consolidando sul web la tendenza allo sfogo collettivo, una “class action” dei sentimenti repressi. Tutti concordano nel protestare, nel denunciare, nell’indignarsi. Chi esprime dubbi viene isolato e bollato come “buonista”. Difficile in questa situazione svolgere quotidianamente un corretto servizio di informazione sui diritti delle persone con disabilità, diritti che si traducono in norme, in regolamenti, in procedure verificabili, in accordi con le associazioni, in corsi di formazione, in buone prassi, in testi da consultare, insomma in strumenti maturi di democrazia partecipata.

Quel viaggiatore senza mani e senza braccia è ora scomparso nel nulla, e nessuno lo ha davvero aiutato a essere consapevole della sua cittadinanza. Ma tutti sono convinti di aver solidarizzato con lui, e si mettono il cuore in pace. Fino alla prossima indignazione.

Franco Bomprezzi 
 
NOSTRO COMMENTO  
 
Porca miseria ma è mai possibile che in questo benedetto paese non si  capisca mai niente di quello che si legge.
Allora, prima di tutto la verità non sta mai a metà: la verità e la verità non sta ne in mezzo ne a tre quarti, sta nella verità.
Non dobbiamo mica fare buon peso come al banco degli affettati: "le va bene se le do tutta la ragione? no, non, basta solo metà"!
Comunque o lo scrittore editore che ha denunciato il fatto è fumato, oppure qui si cerca di insabbiare la verità.
Sto ragazzo ce le aveva questebraccia si o no??? Ne aveva tre quattro cinque oppure non è mai salito sul treno!!
Sembra un handicappato trasformer, gig robot d'acciaio, prima ha  un braccio  e l'altro no, poi parla e poi no.
Non parliamo dei passeggeri intorno a lui, di primo acchitto uno solo interviene, poi sembra che tutti insorgano per difendre i poliziotti. Poi insorgono e organizzano le cinque giornate di bari per difendre il ragazzo senza non si sa che cosa.
Che casino, le ferrovie sono nel caos più totale.
Noi pure!!

 

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