martedì 31 agosto 2010

un suggerimento per il suo sito

Salve,
mi chiamo Davide Sangiorgio e lavoro presso webmillionarie.com in qualità di Project Developer.

Ho in portfolio un'ampia gamma di siti che, sono certo, potrei utilizzare per aiutare il suo sito http://blogciecagna.blogspot.com/ a migliorare le posizioni dei motori di ricerca.

La tecnica più adatta per raggiungere questo obiettivo è quella dello scambio link e sarò felice di illustrarle più approfonditamente la cosa e spiegarle quello che ho in mente.

Grazie per l'attenzione che mi ha dedicato e rimango in attesa di un suo cortese cenno di risposta.


Davide Sangiorgio
admin@webmillionair.com
http://www.webmillionair.com

lunedì 16 agosto 2010

PREMIO BRAILLE (la disintegrazione dell'immagine dei ciechi)!

La carovana della pietà, della retorica, del sensazionalismo ha appena terminato la sua patetica sfilata sugli schermi di rai1. Per fortuna la trasmissione è andata in onda in seconda serata e quindi, presumo e mi auguro, con uno scarso indice di ascolti.
Una vera e propria mutilazione all'immagine di quei poveri ciechi che si trovano a dover ringraziare e addirittura premiare chi, per contratto, svolge il suo lavoro di pubblico servizio. Nei mesi precedenti all'evento, si poteva leggere che l'ambito premio sarebbe andato alla migliore audiodescrizione, ma a ritirarlo sono il direttore del giornale radio rai Antonio Preziosi e Alfredo provenzani di tutto il calcio minuto per minuto. Forse coloro che decidono a chi conferire il premio braille, dimenticano che esistono associazioni, singole persone che offrono un servizio di qualità in fatto di audiodescrizioni garantendo ai ciechi la possibilità di godersi un buon film. C'è anche da dire, nota dolente, che i ciechi italiani non hanno alcuna possibilità di andare al cinema e vedersi consegnare una cuffia attraverso la quale poter ascoltare l'audiodescrizione del film in programmazione. Ci si è, con estrema facilità, dimenticati del film "Fuga dal callcenter" di Federico Rizzo. Per la prima volta in italia si può andare in negozio acquistare il film in dvd e avere pronta anche l'audiodescrizione per i nonvedenti. Rimmarrà un caso isolato?
Ma torniamo al nostro premio braille:
ed ecco che sul “palco oscenico", tra un' esecuzione e l'altra di nomi noti della musica italiana (battiato, arisa, mannoia), guadagna la scena il ministro Sacconi che consegna il premio al contrammiraglio Marco Scano in rappresentanza della Marina militare italiana per aver supportato l'unione italiana dei ciechi ed ipovedenti nell'organizzazione dei raid in pedalò. Si prosegue con il riconoscimento al presidente della Provincia di Catania e dell’Upi, Giuseppe Castiglione che si è maggiormente distinto per interventi, politiche, azioni, in grado di favorire pari dignità ai cittadini non vedenti. Il Premio, giunto alla XV edizione, è assegnato dall'Unione italiana ciechi (Uic) , associazione che da 90 anni tutela i diritti di non vedenti ed ipovedenti.
Se così fosse, si sarebbe data maggior visibilità alla apple che, da un anno a questa parte, garantisce totale accessibilità ai propri device superando la frontiera del touch screen sino ad oggi preclusa ai nonvedenti;, si sarebbe dato più spazio a quei nonvedenti che, quotidianamente, mettono in campo le proprie competenze a favore della collettività e non si sarebbe lasciato gli studenti, lavoratori, professionisti disabili visivi, in balia di realtà e di servizi fittizi o pressochè inesistenti.
Per senso del pudore mi astengo dal commentare l’intervento introduttivo del Presidente Tommaso Daniele e la consegna del premio al fotografo Oliviero Toscani, autore del manifesto, creato per l’occasione, che attribuisce alla società ogni responsabilità circa la disastrosa immagine dei ciechi. Un plauso va agli interpreti che, attraverso le note de la cura (Franco battiato), attraverso la voce di Arisa e il pianoforte del maestro Barbera, e alla splendida interpretazione di Fiorella Mannoia, hanno contribuito, loro malgrado, a deturpare l’immagine dei ciechi interpretando bellissime canzoni, ma inadatte al contesto.Un commento favorevole lo voglio rivolgere anche alla splendida Eleonora Daniele che, da brava attrice di fiction, ha interpretato bene il suo ruolo.
In ultima analisi il Premio Braille dovrebbe essere conferito a persone o organizzazioni che hanno realizzato qualcosa di concreto a favore dell'integrazione sociale dei ciechi e degli ipovedenti, ma, da quanto si è potuto verificare, i riconoscimenti, eccezion fatta per la apple, hanno raggiunto destinazioni del tutto sbagliate.
Sergio Polin

LA PAURA FA 90!

Sono in ufficio, una mattina di agosto, sono tranquillo le ferie si fanno sentire.
Ho aperto la posta elettronica e ho dato uno sguardo veloce alle rassegne stampa sulle notizie di maggiore attualità.
Accendo il video ingranditore per dare uno sguardo al giornale che riesco ancora a leggere con questo apparecchio indispensabile per un ipovedente grave.
Dovrei essere tranquillo, abbastanza soddisfatto ieri ho avuto una riunione per il progetto della stazione di torino porta nuova e per la risoluzione di problemi riguardanti ciechi e ipovedenti, è andata abbastanza bene.
Ho un lavoro in banca, sono appena stato eletto consigliere provinciale nella sezione dell’UICI di torino, ho avuto l’incarico sulle barriere sensoriali che volevo.
Ho scritto due libri, con taglio ironico sulla disabilità visiva, curo un sito insieme a due amici anche loro soci dell’unione.
Sono sposato e ho appena adottato una bellissima bimba.
E ppure sono inquieto, insoddisfatto e non sono per niente sereno.
Non tanto dal punto di vista personale, ma dal punto di vista del destino collettivo che sia come cittadino, prima di tutto, sia come cittadino con una disabilità visiva in secondo luogo.
Si parla tanto di precariato, noi come categoria stiamo lentamente entrando anche noi nel precariato sociale.
Penso che nell’ultimo consiglio provinciale ho propposto iniziative per festeggiare il 90 anniversario della nostra associazione, spero cose originalie di utilità sociale alla comunità, tanto per sfatare il mito dei ciechi che chiedono senza dare mai niente.
E ppure non sono tranquillo.
Agosto inganna, un pò come in battaglia durante una tregua prima del prossimo attacco.
Mi hanno chiesto di scrivere un articolo sui 90 anni dell’uici, ho detto di si, ma cosa scrivere?
Faccio il rigoroso e vado a prendre nell’archivio del mio ufficio, ormai diventato una succursale dell’unione, un vecchio libro edito nel 2000 per festeggiare gli 80 anni, “in cammino verso le pari opportunità” di Carlo Monti.
Questo libro con un titolo poco accattivante lo avevo letto svogliatamente dieci anni prima, però dopo poche righe l’ho letto tutto, molto bello e accurato, mi ha aperto la mente sulla storia e sul percorso civile e intellettuale della nostra associazione e su come quegli uomini lontani che fondarono nel 1920 l’uici hanno contribuito alla formazione del cittadino consapevole che sono ora davanti ad un PC.
Lo scorro per trovare ispirazione e leggo capitoli che mi ricordo ancora bene a distanza di anni.
Mi colpisce l’affermazione del fondatore dell’uici Nicolodi in alcuni suoi discorsi sulla cecità del 1944, dice: “l’atteggiamento della società di allora si riassumeva nel far si che il cieco transitasse, alla meno peggio, per questa vita fino alla ben arrivata morte di cui la cecità non era che il tragico sosia”, continua dicendo
”Concepitacome metafora di un totale annientamento fisico e spirituale la cecità era considerata come una condizione esistenziale insuperabile e che pertanto doveva essere vissuta nella forma rigida e cristallizzata dell’isolamento e della marginalità, alleviata soltanto dal dono gratuito della pietà altrui”.

Parole forti dedicate al passato che non mi appartengono.
Ma mi soffermo a pensarle e forse nel 2010 forse ancora valide.
Chiudo di scatto il libro, per commemorare l’anniversario dei 90 anni dell’uici mi sento ispirato più dall’attualità.
Mollo il video ingranditore e freneticamente vado a prendre un file di un articolo di giornale di fine luglio.
Lo leggo con la sintesi vocale velocemente, e capisco cosa devo scrivere.
Le maggiori associazioni di disabili hanno manifestato a roma a fine luglio per scongiurare tagli devastanti a tutte le categorie compresa la nostra.
Il pericolo è stato scongiurato in extremis, con una unità d’intenti di tutti i disabili che hanno gridato allo scandalo per la campagna anti disabile, cominciata a tambur battente con i falsi invalidi.
Esistono i falsi invalidi ed esisteranno sempre, quindi tutti i disabili per l’opinione pubblica, vessata dalla crisi e stretta nella morsa della disoccupazione, diventa indifferente alle ingiustizie sociali tranne la propria.
La politica vuole cancellare anni di conquiste, buttandole nel calderone degli sprechi.
Mi sono chiesto che sensazione avessero provato i nostri fondatori in periodi di crisi, adesso lo so, indignazione, rabbia e voglia di rivalsa.
La politica questa volta ha tentato di fare quello che ha sempre titubato a compiere , prendersela con chi pensa più debole.
Ma ha pensato male e la vittoria, ottenuta dalle associazioni storiche compresa la nostra è notevole.
Il governo ha ritirato le proposte vessatorie.
Ma non sono tranquillo, una vittoria di Pirro, i dirigenti nell’UICI HANNO peccato di illusione, annullando manifestazionidi protesta a giugno e luglio, sicuri delle promesse dei politici nei salotti buoni.
Non hanno percepito il pericolo, di una politica sempre più votata a tagliare soldi a tutti indiscriminatamente, pur di fare cassa e pareggiare il bilancio.
Questi dirigenti devono andare a casa e lasciare posto ad altri, non sono più in grado di affrontare il “nemico”.

Noi siamo una voce che transita sul bilancio dello stato e come tale va tagliata questa voce, senza stare a guardare tanto per il sottile.
Chi se ne importa se ciechi e ipovedenti avranno meno servizi e diritti,l’importante è risparmiare.
Certo non siamo esenti da privilegi acquisiti senza tanto senso, la tecnologia potrebbe far risparmiare tanti soldi nel gestire biblioteche e centri di assistenza vari.
Quindi noi dobbiamo e dovremo dimostrare lungimiranza e obiettività, ma non accettare macellerie sociali.
Dopo90 anni di storia,dopo aver preso il testimone dai ciechi fondatori dell’uici reduci dalla grande guerra, abbiamo un testimone difficile.
Spazi apparentemente conquistati e consolidati nella società, sono in pericolo e sono precari e le trincee da cui dovremo combattere non sono, per fortuna quelle della prima guerra mondiale, ma sono più incerte e difficili da difendre, in quanto in un mondo globalizzato noi ciechi e ipovedenti siamo una parte dell’umanità che gira sul mercato della globalizzazione.
Comunque senza l’unione noi ciechi e ipovedenti non saremmo con un piede nel futuro, ma se questa associazione storica non si ridesta dal suo sonno l’altro piede nel futuro ci impediranno di metterlo.

domenica 8 agosto 2010

domenica 1 agosto 2010

Il Regno Unito permette ai musulmani di trattare i ciechi peggio dei cani

Il commento lo faccio all'inizio..
Primo: meglio essre atei
secondo: metterei un regolamento che se sale un cane deve scendere un mussulmano dal bus
terzo: va be essre rispettosi delle "usanze" altrui, ma se questo contrasta con la mia libertà io li mando affanculo
quarto: scusate le parolacce, ma adesso     si esagera.questi atteggiamenti rompono veramente i coglioni
 
 
Il Regno Unito permette ai musulmani di trattare i ciechi peggio dei cani

LONDRA. Scene di ordinaria intolleranza nella Londra multiculturale. Questa volta è toccato a quei ciechi che si sono visti sbattere in faccia le porte di bus e taxi, perché accompagnati da cani-guida. Il fatto è che proprio quegli animali, considerati dai britannici i migliori amici dell’uomo, sono ritenuti dalla legge islamica “najis”, esseri impuri, il cui contatto implica per il musulmano devoto la cosiddetta “najasat”, ovvero una condizione giuridico-religiosa che gli impedisce di accedere ad alcuni atti rituali. L’ultimo dei malcapitati, George Herridge, pensionato cieco di settantatre anni che vive con la moglie Janet a Tilehurst, quartiere di Reading, si è rivolto al quotidiano Daily Mail per raccontare le disavventure in cui è incorso a causa del fido Andy, un Labrador nero.
Per ben due volte, infatti, al pensionato guidato da Andy è stato impedito l’accesso al bus pubblico. La prima a causa del rifiuto di un conducente musulmano, e la seconda a causa di due passeggere, una donna islamica e la propria figlia, che alla vista dell’animale impuro sono state colte da un attacco isterico. Il povero Mr. Herridge, peraltro, è avvezzo a simili scene d'intolleranza, cui è costretto ad assistere anche quando si reca in ospedale o al supermercato. La Guide Dogs for the Blind Association, l’associazione dei cani-guida per ciechi, e la National Federation of the Blind (NFB), la Federazione Nazionale Ciechi, hanno confermato che questo problema è assai più diffuso di quanto si possa immaginare e sta «sempre più degenerando».
Jill Allen-King, portavoce della NFB, ha confessato di essere stata ripetutamente lasciata sul marciapiede da tassisti musulmani che si rifiutavano di far salire a bordo dell’auto il suo cane-guida. Un giorno che tentò, invano, di forzare il blocco, fu persino insultata dal tassista, il quale le gridò che, a causa del suo cane, lui avrebbe dovuto tornare a casa e ricorrere alle abluzioni rituali per eliminare la najasat. I guai tra cani e islam non riguardano, però, soltanto le persone non vedenti. E’ capitato anche a Judith Woods, giornalista del Telegraph, che lo scorso 22 luglio ha scritto un commento sulla vicenda.
«In due occasioni, la scorsa settimana - ha raccontato la giornalista - il mio cane si è visto sbarrare le porte dei bus londinesi, non perché sia particolarmente pericoloso, ma per ragioni squisitamente religiose». Il motivo del primo altolà, infatti, era dovuto al fatto che sull’autobus vi fosse una donna musulmana. Non è stata neppure concessa la possibilità di fare delle rimostranze, perché al primo tentativo di protesta le porte del bus si sono chiuse ed il mezzo è partito. La Woods è stata particolarmente sfortunata quel giorno, perché quando è arrivato il secondo autobus, si è vista opporre un successivo rifiuto. Questa volta il problema era l’autista islamico.

 

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giovedì 29 luglio 2010

IL REGNO UNITO PERMETTE AI MUSSULMANI DI TRATTARE I CIECHI PEGGIO DEI CANI!

Il commento lo faccio all'inizio..
Primo: meglio essre atei
secondo: metterei un regolamento che se sale un cane deve scendere un mussulmano dal bus
terzo: va be essre rispettosi delle "usanze" altrui, ma se questo contrasta con la mia libertà io li mando affanculo
quarto: scusate le parolacce, ma adesso si esagera.questi atteggiamenti rompono veramente i coglioni

Il Regno Unito permette ai musulmani di trattare i ciechi peggio dei cani

LONDRA. Scene di ordinaria intolleranza nella Londra multiculturale. Questa volta è toccato a quei ciechi che si sono visti sbattere in faccia le porte di bus e taxi, perché accompagnati da cani-guida. Il fatto è che proprio quegli animali, considerati dai britannici i migliori amici dell'uomo, sono ritenuti dalla legge islamica "najis", esseri impuri, il cui contatto implica per il musulmano devoto la cosiddetta "najasat", ovvero una condizione giuridico-religiosa che gli impedisce di accedere ad alcuni atti rituali. L'ultimo dei malcapitati, George Herridge, pensionato cieco di settantatre anni che vive con la moglie Janet a Tilehurst, quartiere di Reading, si è rivolto al quotidiano Daily Mail per raccontare le disavventure in cui è incorso a causa del fido Andy, un Labrador nero.
Per ben due volte, infatti, al pensionato guidato da Andy è stato impedito l'accesso al bus pubblico. La prima a causa del rifiuto di un conducente musulmano, e la seconda a causa di due passeggere, una donna islamica e la propria figlia, che alla vista dell'animale impuro sono state colte da un attacco isterico. Il povero Mr. Herridge, peraltro, è avvezzo a simili scene d'intolleranza, cui è costretto ad assistere anche quando si reca in ospedale o al supermercato. La Guide Dogs for the Blind Association, l'associazione dei cani-guida per ciechi, e la National Federation of the Blind (NFB), la Federazione Nazionale Ciechi, hanno confermato che questo problema è assai più diffuso di quanto si possa immaginare e sta «sempre più degenerando».
Jill Allen-King, portavoce della NFB, ha confessato di essere stata ripetutamente lasciata sul marciapiede da tassisti musulmani che si rifiutavano di far salire a bordo dell'auto il suo cane-guida. Un giorno che tentò, invano, di forzare il blocco, fu persino insultata dal tassista, il quale le gridò che, a causa del suo cane, lui avrebbe dovuto tornare a casa e ricorrere alle abluzioni rituali per eliminare la najasat. I guai tra cani e islam non riguardano, però, soltanto le persone non vedenti. E' capitato anche a Judith Woods, giornalista del Telegraph, che lo scorso 22 luglio ha scritto un commento sulla vicenda.
«In due occasioni, la scorsa settimana - ha raccontato la giornalista - il mio cane si è visto sbarrare le porte dei bus londinesi, non perché sia particolarmente pericoloso, ma per ragioni squisitamente religiose». Il motivo del primo altolà, infatti, era dovuto al fatto che sull'autobus vi fosse una donna musulmana. Non è stata neppure concessa la possibilità di fare delle rimostranze, perché al primo tentativo di protesta le porte del bus si sono chiuse ed il mezzo è partito. La Woods è stata particolarmente sfortunata quel giorno, perché quando è arrivato il secondo autobus, si è vista opporre un successivo rifiuto. Questa volta il problema era l'autista islamico.

ARRIVA LA RIVISTA DI S. FRANCESCO IN BRAILLE!!!

Arriva la rivista di San Francesco in versione braille

È la prima del mondo cattolico dedicata ai non vedenti. Sarà distribuita nelle sedi della Uic e nei centri d'aiuto per ciechi. Raggiungerà circa 100mila persone. Tommaso Daniele (Uic): "Magnifica iniziativa. Grati al ministero per il rilancio del braille

ROMA. La rivista di San Francesco da oggi sarà accessibile anche ai non vedenti. È stata presentata questa mattina a Roma la versione in braille del periodico, che sarà il primo nel mondo cattolico pensato per le persone cieche. "È una magnifica iniziativa, che parte dall'idea che la bellezza può essere percepita anche senza gli occhi- ha sottolineato il presidente dell'Unione italiana ciechi (Uic) Tommaso Daniele, che ha voluto ringraziare prima di tutto il ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna per aver sostenuto l'iniziativa e per la competenza sui temi della disabilità. "Abbiamo letto nel ministro un'attenzione particolare ai temi della cecità e della minorazione visiva- ha detto Daniele-. Siamo particolarmente grati per avere reso accessibile ai ciechi la cultura francescana. San Francesco è un punto di riferimento a cui ci ispiriamo". Secondo il presidente della Uic, inoltre, è importante "celebrare il braille, un sistema inventato da un cieco per i cie chi", che rappresenta "l'unico strumento di scrittura e lettura diretta, perché evita ogni forma di mediazione".
La rivista sarà distribuita in tutte le 120 sedi della Uic, dove potrà essere consultata liberamente da tutti gli iscritti, e nei 250 centri di assistenza per non vedenti sparsi sul territorio italiano. In tutto dovrebbe raggiungere circa 100mila lettori. "L'obiettivo è quello di portare il messaggio di San Francesco a tutti i ciechi- ha aggiunto il direttore della rivista padre Enzo Fortunato-. La cultura francescana è fondata sulla solidarietà e il rispetto, valori di cui ha bisogno il nostro Paese". Dell'avvio di "un'esperienza speciale di comunicazione e dialogo" ha invece parlato il custode del Sacro convento, padre Giuseppe Piemontese, che ha voluto ricordare come negli ultimi anni della sua vita anche San Francesco, a causa di una malattia, divenne cieco. (ec)

commento...

Maremma francescana, non ce ne voglia san francesco che mi risulta fosse anche un rompi balle come noi verso le autorità prostituite..
Vorrei analizzare con poca calma e propensione alla retorica sul braille.
Ragazzi il caldo mi rende intollerante, ma come si fa a sottoscrivere un accordo del genere, ci rendiamo conto della montagna di carta che si sprecherà per questa rivista?
Chi la leggerà?
Poi sempre sta storia del cieco e della religione e della redenzione e della cecità dei santi, a me sembra che san francesco, non essendo io religioso potreisbagliarmi, avesse gli occhi ben aperti sulla natura del suo tempo e della scarsa spiritualità del potere temporale della chiesa dell'epoca.
Ma a parte queste retrospettive che non ci riguardano,il nostro president, dopo aver scampato il pericolo di tagli pericolosissimi,subito si da alla pazza gioia.
Il braille viene usato sui posti di lavoro abbinato alla tecnologia,se ne fa un uso personale per etichettareoggetti utili e al massimo stampare a proprie spese ciò di cui si ha bisogno.
Se un alunno aspetta il materiale da monza diventa vecchio, e poi a che prò esiste il pc e l'editoria digitale, quindi niente carta se non in casi limitati.
Chi legge il braille, non è dato saperlo.
Tutto questo ragionamento non può tener conto del sacrosanto diritto di fruire di una rivista religiosa, da parte di chi ne ha desiderio, ma bisogna farlo in maniera sensata.
Esempio l'editore della rivista mette a disposizione la versione digitale, chi vuole se la stampa perconto proprio, oppure si rivolge alle sedi dell'UICI locali che sono attrezzate per farlo.
Non si imbastiscono dinosauri per dare soddisfazione a a questa politica religioseggiante che si lava la coscienza regalando riviste che lasciano il tempo che trovano.
Gli anziani ciechi che leggono il braille vanno rispettati, ma molti usano il pc e altri per problemi vari si fanno leggere dai volontari e da parenti il cartaceo.
Invece la nostra associazione presta il fianco a ste iniziative fallimentari, che mettono una pietra tombale ad ogni tentativo di sradicare a colpi di ragione il luoghi comuni sui ciechi.
Cieco e religione redentoria, ceico nel suo mondo di puntini in rilievo, paternalistici video su you tube in cui tommaso daniele ammicca verso il ministro gelmini e un prete che li guarda con pietistica consapevolezza religiosa(OPPPURE GUARDA IL DIDIETRO DELLA GELMINI...), pensando che la panacea di tutti i problemi dei ciechi sia la rivista in braille.
Se io ho voglia di Dio vado in chiesa e sono fatti miei, basta con questa retorica maledetta e fuorviante.
Siamo accerchiati da incompetenti dirigenti che ci svendono al mercato della disabilita, mettiamoci la ciotola ai piedi e facciamola finita...
p.s
la biblioteca braille di torino ggestita dal comune pubblica in braille massimo due libri all'anno best sellerse e invita l'autore e gliene fa omaggio.
Le altre due copie stampate in braille sono a disposizione di chi ha piacere di leggere il llibro in braille.
Questo è ragionevole..

lunedì 22 febbraio 2010

E se cominciassimo a corromperli? (di Franco Bomprezzi)

commento in fondo..
     se cominciassimo a corromperli? (di Franco Bomprezzi)

È la provocazione lanciata da Franco Bomprezzi, constatando che proprio la corruzione diffusa nel nostro Paese è una delle cause delle barriere architettoniche e della mancanza di una vera progettazione inclusiva per tutti. «Infatti - scrive Bomprezzi - i progettisti, i committenti, le imprese, i funzionari, i tecnici, i consiglieri comunali, i politici, sono concentrati sull’obiettivo di guadagnare potere e denaro per perpetuare se stessi e le persone con disabilità non sono in grado di contrastare questo fenomeno, o di pagare tangenti per una buona causa, quella dell'accessibilità per tutti. Forse in futuro dovremmo cominciare a corrompere gli architetti, gli ingegneri, i consiglieri comunali, i parlamentari, i funzionari ministeriali. Pagandoli profumatamente probabilmente riusciremmo a vivere in un mondo migliore!»

Ho atteso qualche giorno. Un’idea mi frullava nella testa. Cercavo un indizio, un nesso. Non ho faticato a trovarlo. Quando entro in un edificio imponente, di nuova costruzione, quasi sempre un edificio pubblico, mi accorgo subito che non c’è stata alcuna attenzione, se non puramente formale, alla questione dell'accessibilità. Entro con la mia sedia a rotelle, mi guardo attorno, e scopro quasi sempre percorsi dedicati, nascosti, periferici, che richiedono un piccolo aiuto, quanto meno un assistente che ti guida verso la rampa, verso l’ascensore, verso il posto "dedicato" alle persone con disabilità, nella platea di un teatro, nell’accesso a un museo, nell’ingresso di un ufficio pubblico, di una banca, di un grande albergo, perfino di qualche negozio importante.

Ho letto in questi giorni, come tutti abbiamo fatto (almeno spero), le notizie delle indagini sugli affari promossi e favoriti dalla Protezione Civile. Prescindo completamente dalla persona di Guido Bertolaso, non mi interessa la situazione della singola persona, rispetto alla quale non ho alcun elemento per giudicare o per emettere sentenze. Ma quanto emerge dalle cronache è più che sufficiente per farsi un’idea di come funzioni il rapporto fra opere pubbliche, appalti, committenza politica, istituzioni e funzionari.
Contano solo i soldi, il denaro, il potere. Noi, i cittadini, no. Nulla, meno di zero. Esiste l'"aristocrazia del cemento" e degli appalti, un mondo chiuso e protetto di imprenditori e di politici, di tecnici, progettisti, affaristi, faccendieri, portaborse, fornitori di servizi alla persona (centri massaggi, ad esempio), che vive in funzione del denaro che si può estorcere per garantire nei tempi necessari al risultato richiesto, ovvero a far fare bella figura al Potere: la Grande Apparenza.
Il denaro che circola è tanto, in euro fa meno effetto, se traducessimo tutto in vecchie lire, saremmo terribilmente impressionati dalle cifre della corruzione. Questo ceto ricco, epulone, privo di morale, vive in un mondo separato dalla morale quotidiana di tutti noi. Le persone con disabilità, ad esempio, non sono attrezzate per affrontare questo Moloch. Pensano di essere portatrici di diritti essenziali, e fra questi spicca certamente l’accessibilità, la mobilità personale. Ma appare evidente che a questo ceto di ladri e di parassiti non interessa affatto risolvere per davvero i problemi di mobilità e di accessibilità delle persone.

Ecco perché non ho mai sentito in nessun convegno ad alto livello sulla programmazione delle grandi opere pubbliche (penso ad esempio ad Expo 2015 a Milano) un briciolo vero di attenzione alla voce delle persone con disabilità. Tutto diventa secondario, un accessorio reso obbligatorio dalle leggi vigenti, che tanto si possono aggirare, eludere, ignorare, beffare, perfino citando a scusante la mancanza di risorse economiche a disposizione.
La mia considerazione odierna è che la corruzione diffusa in questo Paese sia una delle cause delle barriere architettoniche ancora così diffuse e della mancanza di una vera progettazione inclusiva per tutti. Infatti, i progettisti, i committenti, le imprese, i funzionari, i tecnici, i consiglieri comunali (vedi Milano), i politici, sono concentrati sull’obiettivo di guadagnare potere e denaro per perpetuare se stessi. Le persone con disabilità non sono in grado di contrastare questo fenomeno, o di pagare tangenti per una buona causa, quella dell'accessibilità per tutti. Forse in futuro dovremmo cominciare a corrompere gli architetti, gli ingegneri, i consiglieri comunali, i parlamentari, i funzionari ministeriali. Pagandoli profumatamente probabilmente riusciremmo a vivere in un mondo migliore!

*Testo apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di Vita.blog, con il titolo: La questione morale.
 
Mio commento prelato sergio alias fanale..  
 
Per qquanto mi riguarda , occupandomi da tre anni, di barriere architettoniche, il commento dell'articolo sopra mi ha fatto riflettere.
In Piemonte, ai tavoli a cui ho partecipato per conto dell'unione, non credo che pagando tangenti avrei ottenuto qualche cosa,quindi non credo che la corruzione a fin di bene possa funzionare.
Sicuramenterespngerebbero la tangente,, dicendo "per carità ci mancherebbe altro pure da voi poveri invalidi, anche noi abbiamo una morale!!"
La tangente che io pago è il tempo che rubo alla mia famiglia e a me stesso, per andare in giro a sbattermi per questioni importanti, come i trasporti, il suolo pubblico ecc.
Torino è teatro di importanti trasformazioni,cerco come delegato dell'uici, di stare dietro insieme ad amici di cordata che si occupano di problemi motori.
Subiamo qualche sconfitta e otteniamo qualhche vittoria. Ieri abbiamo subito una sonora sconfitta in quanto non riusciamo a formare un tavolo tecnico congiunto con tutti gli assessorati, per coordinare interventi coerenti in tutta la città e impedire errori imbarazzanti.
La nostra consulenza gratuita e il lancio di un PEBA piano eliminazione barriere architettonoiche, peraltro previsto dalla legge da vent'anni, è stato accolto con freddezza.
Quindi secondo loro dovremmo continuare a saltare da un cantiere all'altro "mendicando" INTERVENTI in corso d'opera o rimetterci alla stramaledetta sensibilità dei progettisti.
Quindi temo che  la corruzione non sarebbe sufficiente...ci vorrebbe un trapianto di cervello o forse bisognerebbe intercettare gli architetti nell'utero materno facendogli ascoltare tutte le parolacce di quei cittadini in difficoltà che tutti i giorni cercano di vivere la loro vita.
Invece credo che noi associazioni ci siamo fatti corrompere dalle istituzioni, barattando per qualche aumento misero di pensione tutte le altre problematiche.
Anche l'UNIONE ITALIANA CIECHI cerca di vendere e sottolineovendre beccando percentuali sul venduto, il vettore che per i non addetti ai lavori è una piastrella tattile che si posa a terra perguidare i non vedenti e gli ipovedenti in ambienti complessi.
Come facciamo a essere credibili  sulle quantità di piastrelle da piazzarequando ci  becchiamo una percentuale sul posato????

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mercoledì 17 febbraio 2010

Vorrei commentare l.doc

MIO COMMENTO IN FONDO.

 

 

buonasera,
sul quotidiano la città di salerno in data odierna e stato pubblicato un articolo che parla della vicenda dei coniugi Pascale e la mancata adozione di un bambino perche' a dire del pm la madre e non vedente.
di seguito vi invio gli articoli usciti sul giornarle e la posizione assunta dalla sezione provinciale di Salerno dell'uic che potete trovare sul sito
http://www.uicisalerno.it area news.

PAGANI. Il Tribunale boccia l'istanza di adozione perché la potenziale madre è non vedente. Una storia che scuote le coscienze quella raccontata dalla protagonista, Maria Sicignano, quarantenne, centralinista presso il comune di Pagani, alla quale è stato negato l'affetto di un bimbo da poter crescere ed accompagnare nel percorso della vita.
L'iter burocratico inizia nel 2005 quando Maria, insieme al marito Rocco Pascale, decidono di avviare le pratiche per la richiesta di adozione di un bambino di nazionalità italiana. "Nel 2005 ho fatto una dichiarazione di disponibilità per l'adozione al Tribunale dei Minori di Salerno - ha raccontato Maria - Dopo avere avviato tutta una serie di procedure ci siamo visti costretti, però, a rivolgerci ad un legale, Gelsomina Bottesini, che è riuscita ad ottenere una documentazione nella quale il pm del Tribunale dei Minori di Salerno ha espresso parere sfavorevole, in quanto, la sottoscritta è non vedente. Va precisato che siamo riusciti ad avere questi documenti solo tre anni dopo la presentazione della dichiarazione di disponibilità per l'adozione e cioè nel 2008. Questo avveniva anche perché oltre al legale abbiamo interpellato l'Unione Nazionale dei Ciechi che ha interagito in maniera forte. Per tre anni la pratica girovagava per il Tribunale senza che nessuno avesse il coraggio di informarci rispetto al parere del pm".
Di qui i coniugi Pascale non si arrendono e alla scadenza della prima istanza, s'imbattono nel rinnovo della seconda istanza. Ad attenderli una nuova prassi burocratica fatta di altri colloqui e di un corso di perfezionamento alla genitorialità. "Per il Tribunale di Salerno, per essere genitori bisogna perfezionarsi - ha asserito Maria - Abbiamo seguito questo corso che, non volendolo fare al Piano di Zona di Nocera Inferiore, siamo stati indirizzati al Piano di Zona di Cava ed è stato tenuto ad Amalfi. Da precisare che è stato un corso interessante, formativo, condotto da personale qualificato e che ci ha lasciato tanto. Dopo c'è stata la lunghissima attesa per riuscire ad avere il colloquio individuale con gli psicologi di Amalfi. Otto giorni fa sono andata a fare l'ultimo. Tra un anno scade la seconda istanza e siamo ancora a fare colloqui". Per la legge Maria non può essere una madre. Si chiede: "Quante persone hanno il mio stesso problema e sono genitori? Significa che bisogna andare a togliere l'affidamento di questi bambini, ad allontanarli dalle loro famiglie?
Non c'è differenza tra bambino adottato e bambino biologico, l'importante è avere una famiglia, oltretutto mio marito è normodotato".
Per Maria e Rocco è ingiusto. "Quello compiuto nei miei confronti è un atto discriminante, una forma di razzismo. Oltretutto questa diversità è una disabilità visiva non fisica o psichica. Siamo inseriti nel mondo del lavoro". Una battaglia legale che si è trasformata in una battaglia civile. "Quando scadrà la seconda istanza, continuerò la mia battaglia - ha concluso Maria - Non più per me bensì per chi vive la mia stessa situazione e non ha la mia stessa forza d'animo. Se al 2010 siamo ancora a questo, significa che c'è molto da fare per cambiare".
Liliana Tortora

PAGANI. La testimonianza della signora Maria si è fatta strada on line arrivando a coinvolgere, tramite svariati siti internet, numerose persone che hanno sposato questa giusta causa. "Anche attraverso Facebook- ha spiegato - abbiamo chiesto l'aiuto di tanta gente, infatti, sono arrivate centinaia di fax al Tribunale dei Minori di Salerno, di protesta civile, a nostro sostegno". La signora Maria ha colto l'occasione per lanciare un appello a quanti vivono la sua stessa condizione. "Sono disposta a costituire un Comitato. Chi si vuole unire può farlo prendendo contatti con me. Se bisogna combattere occorre riunire le forze". Si attendono, dunque, adesioni anche da parte di chi semplicemente intende appoggiare la coppia.

PAGANI. La storia dei coniugi Pascale ha visto scendere in campo anche il presidente dell'Unione Nazionale dei Ciechi, Vincenzo Massa, che ha svolto un ruolo fondamentale nella vicenda. L'associazione si è assunta in prima persona, attraverso il proprio rappresentante, l'onere di interagire nella complicata burocrazia a monte dell'istanza di adozione avanzata da Maria e Rocco. Il suo intervento è riuscito a smuovere le acque o meglio a far venire a galla la motivazione addotta dal Tribunale dei Minori di Salerno che di fatto ha rifiutato la richiesta di adozione, in quanto, la madre adottante è cieca. "A Massa va un ringraziamento - ha affermato Maria Sicignano- per la vicinanza dimostrataci e per l'azione attivata in nostra difesa"

 

 

 

torino 17 febbraio  2010

Vorrei commentare l’articolo che avete appena letto riguardo una presunta mancata adozione.

Questo è un argomento delicato

 Ma non si può sempre fare finta di niente.

 Nel mio caso, non parlo da esperto, ma da persona coinvolta personalmente in una pratica di adozione.

La cosa che colpisce sicuramente è la sofferenza per la mancata adozione, capisco benissimo il desiderio di diventare genitori e magari vedersi sfumare questo desiderio davanti agli occhi.

Va detto però che l’approccio a questa vicenda da parte della coppia secondo me è sbagliato.

Non conosco le motivazioni, che sono scritte sui documenti e i profili psicologici della coppia redatti dall’equipe che li ha esaminati.

 

Le motivazioni sono li e bisogna eventualmente contestarle nelle opportune sedi senza fare battaglie mediatiche.

All’inizio del mio percorso  per un’adozione internazionale ero molto aggressivo e pronto a battagliare, perché pensavo già a priori di essere discriminato in quanto io ipovedente grave destinato alla cecità.

Avevo già in mano una sequela di leggi sulla discriminazione da mettere davanti prima di tutto.

Dal 2001 il legislatore, finalmente, ha riformato la procedura per l’adozione velocizzandola e snellendola.

Naturalmente dipende molto dai tribunali dei minori che hanno competenza nelle varie città.

L’eqipe di assistenti sociali e psicologi si sono molto aggiornate e mi sembra ci sia stato un ricambio generazionale.

Per fortuna prima di depositare la domanda di adozione, mi hanno consigliato un corso non obbligatorio ma auspicabile, di avvicinamento all’adozione.

Mi ricordo quel giorno di tre anni fa molto bene.

Io e mia moglie entriamo nella sala conferenze, io mi preparo da buon italiano medio con la verità in tasca ad ascoltare queste noiosissime conferenze.

 

Il relatore comincia a spiegare la riforma della legge  sulle adozioni per correggere il più possibile gli errori del passato, e dare risposte concrete alle coppie ansiose di adottare

La frase iniziale mi colpì come uno schiaffo, eppure l’avevo  letta molte volte senza capirla veramente.

La frase recita: “non sono i genitori ad aver diritto ad un figlio, ma è il bimbo ad aver diritto ad una famiglia, noi abbiamo il dovere di ponderare attentamente l’idoneità dei genitori candidati all’adozione, perché ogni fallimento, ogni nostra valutazione errata, si trasforma in tragedia non risanabile per il bimbo, che magari è stato abbandonato o orfanoe magari  viene rifiutato anche dalla famiglia adottiva. Un trauma irrecuperabile”.

 

Purtroppo durante questa due giorni di incontri, venivano citati anche fallimenti, perché non dimentichiamolo mai, spesso i bimbi da adottare hanno subito violenze e situazioni pesanti, anche se adottati in fasce avranno delle crisi di identità molto forti.

Quindi in poche parole allo stato non frega niente dei desideri dei genitori, deve essere attento nella valutazione delle coppie per il bene del bambino.

Invece sempre, io per primo, avevo messo al centro me stesso e il mio presunto diritto alla genitorialità.

Dopo quell’incontro io e mia moglie ci confrontammo sull’opportunità di continuare nel percorso e,  se depositare la domanda.

Decidemmo di proseguire, e di non contestare un eventuale diniego alla nostra idoneità all’adotzione.

Naturalmente se avessimo letto delle motivazioni aleatorie e palesemente inesatte sul nostro conto magari le avremmo contestate.

Ma la mia disabilitàavrebbe pesato parecchio nella valutazione del nostro profilo. Non poteva essere diversamente non possono mica darmi un bimbo senza sapere che  tipo sono, se sonoautonomo se non sono depresso dalla mia  malattia visiva ecc.

Non possono mica, valutarmi  idoneo solo per non offendre il mio senso di discriminazione.

Il bimbo come si sarebbe approcciato a noi ed in particolare a me nella vita quotidiana, gli avrei dato sicurezza e supporto?

Devo dire che dopo aver depositato la domanda al tribunale dei minori di torino, ci aprimmo completamente agli psicologi e agli assistenti sociali di zona che dovevano dare un parere ai giudici minorili.

Persone serie e competenti, che facevano domande legittime sulla nostra vita, sulla nostra  famiglia, sulle nostre anzie, sulla nostra infanzia ecc.

Questa è la procedura, qualcuno ci giudica ed è giusto.

Le valutazioni sono state positive e i giudici si trovarono un fascicolo in cui eravamo “giudicati abbastanza normali”.

A quel punto cinque giudici in modo collegiale esaminarono la nostra pratica, per non trascurare nessun aspetto per il bene dell’eventuale abbinamento con un bimbo da adottare. Cinque giudici per tutti e non solo per noi, questa e laprassi.

Il parere  positivo del tribunale ci ha permesso diintraprendere e portare a termine una adozioneinternazionale.

La prassi è stata lunga e non vi voglio tediare.

Questa coppia invece si è fermata a quella nazionale.

Da notare che la nazionale è molto difficile in quanto il rapporto fra coppie in lista e bimbi disponibili è di un bimbo ogni dieci domande.

E’ chiaro che una coppia condelle caratteristiche particolari, verrà messa in secondo piano , secondo me giustamente, in quanto un bimbo adottato dovrà avere meno problemi in linea teorica con due genitori senza disabilità.

Questo potrebbe sembrare discriminatorio, dal punto di vista dei genitori, ma nondal punto di vista del bene del bambino.

In linea generale, un giudice può considerare idonei dei genitori con disabilità, ma potendo scegliere sceglie il rischio minore mettendo nelle mani un bimbo   a dei  genitori adottivi senza peculiarità se le statistiche glielo consentono.

Infatti noi come coppia ci siamo rivolti all’internazionale  perché ci sono più bimbi che coppie.

Anche qui la scelta del paese è delicata, in  quanto noi pensiamo che i paesi dove si adotta siano un supermarketdi bimbi a nostra  disposizione.

Non è così, ogni paese ha il suo sistemagiuridico, e può valutare a sua volta inidonei genitori candidati.

Come si può notare l’argomento è complesso  e soggettivo. Infatti mia  moglie è “normale”, forse questo ha favorito il nostro percorso. Comunque io sono stato valutato attentamente e ne sonocontento, questo è stato sintomo di serietà da parte delle istituzioni.

La battaglia che la coppia sta combattendo non la condivido, perché quando ci dicono di NO noi italiani ci sentiamo defraudati e non vogliamo sottostare a nessuna regola.

Inoltre le motivazioni  di una difficoltà nel profilo della coppia è segnalata chiaramente nelle reelazioni e a disposizione della coppia.

Infatti,  come confermato da loro, hanno fatto dei corsi per affrontare meglio l’adozione, riscontrando serietà e competenza.

Quindi è difficile giudicare, ma si deve leggere nella relazione e capire perché la cecità di uno dei due inficia l’adozione.

In ultima analisi, mi risulta che nell’adozione nazionale non viene emessa una sentenza di idoneità, si viene iscritti per tre anni in un elenco che è disponibile  per una adozione e dopo i tre anni bisogna reiterare la domanda.

Quindi i giudici”scelgono” da questo elenco le coppie più idonee, in questa fase di fatto una relazione psicologica che sottolinea alcuni dubbi sulla coppia pesa molto.

 

Mi sembra che la conoscenza deve essere precisa della procedura, invece dall’articolo del giornale di salerno mi sembra ci sia un po’ di confusione.

La nostra lista serve comunque anche a questo, non solo a dire cose legèere.

Un ultima nota: non miè piaciuta la frase della coppia “noi non siamo mica su una sedia a rotelle e ritardati”, allora anche loro discriminano.

Anche la frase superficiale sui genitori naturali, che dovrebbero essre spogliati dalla patri apotestà naturale e se invalidi, non è corretta.

Ci sono genitori naturali con disabilità a cui è stata tolta la patria potestà, come ci sono state coppie “normali” che hanno subito lo stesso destino.

Mentre ci sono coppie perfettamente  meritevoli di stima nell’allevare i propri figli naturali, pur con disabilità gravi o meno gravi.

     Secondo me un genitorenaturale, non può essre esaminato  prima dell’esperienza, ma si spera che maturi in  lui un genitore responsabile.

Se ciò non accade lo stato interviene, purtroppo spesso, più di quanto  si creda.

Nel caso dell’adozione lo stato ha il dovere di esaminare, visto che ne ha la possibilità, la coppia da cima a fondo, spesso sbagliando in  un senso o nell’altro.

Sergio prelato

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lunedì 15 febbraio 2010

Mario, dipendente comunale non vedente "costretto" a una inerzia forzata

      
NOSTRO COMMENTO IN FONDO..   
Mario, dipendente comunale non vedente "costretto" a una inerzia forzata

Non vuole fare il "mangiapane a tradimento", ma essere messo in condizioni di lavorare e salvare la rivista telematica PcCiechi, da lui creata. La storia di un uomo che, a Giugliano, lotta nonostante scarsi mezzi e minacce di provvedimenti disciplinari

GIUGLIANO - Non vuole fare il mangiapane a tradimento, vuole che lo si metta in condizioni di lavorare e vuole salvare la sua creatura, la rivista telematica PcCiechi che, dal 2001 al 2009, è stato un punto di riferimento per centinaia di non vedenti italiani, una bussola per orientarsi nel mare magnum dell'informatica e delle tecnologie assistive.
È questa, in sintesi, la storia di Mario Palma, un dipendente non vedente del comune di Giugliano, in provincia di Napoli, dove, per stessa ammissione di una dipendente comunale, "si è parecchio indietro per quel che riguarda una corretta cultura di integrazione della disabilità".
Riassumiamo i fatti: Mario Palma, dopo gli studi giuridici, viene assunto dal Comune di Napoli nel 1986 dopo concorso pubblico e viene trasferito a Giugliano nel 1989. Nel 1992 perde definitivamente la vista. Dal 1992 al 2001, Palma fa la trottola da un ufficio all'altro, eseguendo comunque in maniera impeccabile gli ordini di servizio che gli vengono impartiti, come testimoniano i rapporti dei suoi superiori. Dal 2001 in poi, tali ordini di servizio diventano fumosi e difficilmente assolvibili (l'ultimo in ordine di tempo recita: Egli dovrà occuparsi in particolare della "promozione e diffusione della cultura tra i ciechi, nonché predisporre la mappatura dei disabili sul territorio giuglianese") e Palma viene sempre più relegato a mansioni marginali, non gli viene messa a disposizione la strumentazione idonea a svolgere il suo lavoro e non gli vengono date informazioni su concorsi interni per promozioni. L'ultima beffa: Palma segue un corso di riqualificazione di cui dovr à sostenere l'esame a giugno ma, a differenza degli altri suoi colleghi, non gli vengono forniti i test per esercitarsi.

Così, nella forzata inerzia, nel 2001 fonda la rivista PcCiechi, un quindicinale telematico che, come dice il nome, raccoglie le ultime novità in merito a informatica e non vedenti. Più volte Palma cerca di coinvolgere il comune, che tiene sempre informato sulla sua attività pubblicistica, arrivando a offrire all'amministrazione comunale di Giugliano di diventare proprietaria ed editrice della rivista stessa a titolo gratuito. Dopo primi riscontri positivi, col cambio di direzione generale in comune, la cosa si blocca e Mario Palma viene minacciato di procedimenti disciplinari se continuerà a occuparsi della rivista in orario di lavoro. Allora, avvalendosi anche di un consulente sindacale, Palma presenta un progetto articolato all'amministrazione comunale, in cui rientra anche PcCiechi, ma che comprende anche corsi di informatica e inglese per non vedenti, corsi di alfabetizzazione Braille, corsi di cucina e di autonomia domestica, digitalizzazione della biblioteca comun ale, promozione dello sport fra i disabili giuglianesi e istituzione di un centro polivalente. Il progetto non riceve alcuna risposta dal comune e, nel dicembre 2009, un ingegnere che doveva approntare a Palma una postazione informatica che gli permettesse di lavorare alla pari degli altri dipendenti, interviene peggiorando la situazione e rendendo il computer di Palma inservibile, riservandosi di sistemare la cosa in un futuro non meglio specificato.

Come stanno ora le cose? Palma non ha un telefono per comunicare verso l'esterno, non ha accesso alla rete del comune né a internet, dal 28 dicembre non ha un computer e non gli è consentito di lavorare alla rivista PcCiechi. Non si sa bene cosa i superiori vogliano da lui né quali debbano essere le sue attività quotidiane: si era parlato di una rassegna stampa, poi di aggiornare il sito del comune, di telelavoro, ora l'ultima ipotesi è quella dell'organizzazione di un cineforum. Intanto il suo progetto è nel dimenticatoio, c'è in piedi un contenzioso legale al tribunale del lavoro per trattamento discriminatorio nei suoi confronti e il comune ha minacciato un ulteriore provvedimento disciplinare se non si interromperanno le centinaia di fax e mail di solidarietà che Palma sta ricevendo dai non vedenti di tutta Italia.

E il comune di Giugliano come si pronuncia? La direttrice generale, Rossella Grasso, non ha voluto rilasciare dichiarazioni a Redattore Sociale. Il diretto superiore di Palma, Anna Pugliese, ha dichiarato che cercherà di "coinvolgere di più il dottor Palma nelle attività dell'ufficio" e che si occuperà personalmente di "porre rimedio ai problemi informatici verificatisi negli ultimi mesi". Per quanto riguarda PcCiechi, la posizione del comune è che Palma possa continuare la pubblicazione della rivista ma solo al di fuori degli orari di lavoro. Posizione che avrebbe anche una sua ragion d'essere, se il comune spiegasse in dettaglio quale lavoro ci si aspetta da Palma e lo mettesse in condizione di svolgere le mansioni che gli vengono richieste.

Maurizio Molinari 
 
NOSTRO COMMENTO..
Roba da matti, per una volta tanto che si trova un ciecato che vuole lavorare..a Napoli...gliela fanno vedere lunga.
A parte la caterva di mancanze datoriali, che mario potrebbe contestare, risulta miope la scarsa lungimiranza dell'amministrazione nello sfruttare una risorsa pagata e quindi da utilizzare al meglio.
Forse la sua iper attività infastidisce i dormienti..., magari tutto questo trambusto di iniziative potrebbe innescare un'insano coinvolgimento di altri impiegati?
Mario noi non ci vediamo chiaro...

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giovedì 21 gennaio 2010

«service dog» in aiuto di malati e disabili. Non solo cani-guida: dagli Usa nuova tendenza

 
NOSTRO COMMENTO IN FONDO..   
 

I «service dog» in aiuto di malati e disabili. Non solo cani-guida: dagli Usa nuova tendenza

Utili anche a epilettici, diabetici, paraplegici
Ci sono quelli addestrati a portare al padrone la scatoletta dei farmaci. Altri invece, in caso di malore, recuperano un telefono portatile e chiamano un numero d'emergenza premendo un tasto speciale o aprono la porta e accompagnano i soccorritori. Medici a quattro zampe, verrebbe da ribattezzarli senza offesa per i camici bianchi bipedi. All'estero, i cani da ausilio sono ormai un'istituzione. E non parliamo soltanto della storica funzione di accompagnamento dei ciechi.
I cani-guida sono stati i precursori e tuttora svolgono un ruolo fondamentale nella vita di migliaia di non vedenti o ipovedenti. In Svizzera, Germania e Austria, nazioni «madrine» dei servizi di cani-guida, prima, ma soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti, poi, gli amici dell'uomo si sono specializzati e godono anche di uno status giuridico particolare. Cani da caccia che «fiutano» il tumore al polmone, alla mammella o alla vescica o che sono capaci di prevedere un attacco epilettico hanno dato vita all'ipotesi di una «cinodiagnostica». La prestigiosa Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota, ha dedicato ai service dog un lungo articolo nella sua ultima newsletter, riconoscendone l'importanza in molte patologie.
Oltre ai cani che assistono i pazienti in carrozzina, ci sono i «Fido» specializzati per chi ha problemi di udito. Gli allevamenti statunitensi di organizzazioni come Delta Society, International association of assistance dog partners o Service dog central forniscono addestramento specifico ai cani al servizio di diabetici, autistici, malati di Alzheimer o di Parkinson o con problemi psichiatrici. I cani imparano così ad accorgersi quando il livello di zucchero nel sangue è basso, annusando l'alito del padrone. Gli animali di taglia più robusta sono allenati anche come stunt-dog: si gettano davanti ai padroni per attutire una caduta oppure riescono a rimetterli in equilibrio se barcollano.

E in Italia? Abbiamo una grande tradizione nel campo dei cani-guida per ciechi con due scuole nazionali: quella di Scandicci (Firenze), che nel 2009 ha festeggiato gli 80 anni di vita, e il servizio cani guida Lions di Limbiate (Milano) la cui fondazione risale a cinquant'anni fa. Nel 2001, inoltre, la Regione Sicilia ha istituito aMessina il Centro «Helen Keller» dell'Unione Italiana Ciechi. Sul versante dei serviceperò, siamo ancora indietro. Oltre alla mancanza di una cultura diffusa e quindi di una richiesta da parte della gente, i centri non sono neppure attrezzati.
L'unico progetto pilota, è decollato a Scandicci nel 2008. Brina, un pastore tedesco di 10 anni, Ekimi, pastore svizzero di 2 e Leo un meticcio di 3 anni hanno imparato a lavorare in team con i loro padroni, costretti su una sedia a rotelle: dall'apertura delle porte, all'uso del telesoccorso fornito dalla Asl. A fine ottobre, le tre «coppie» hanno fatto una dimostrazione pubblica delle loro abilità. «Il progetto si concluderà quest'anno dice Massimo Baragli e già una decina di disabili ne hanno fatto richiesta» .

Ruggiero Corcella
 
 
nostro commento.. 
 
Ragazzi poveri cani, gli facciamo fare di tutto.
Comunque dharma oltre ad essere il cane guida di un ciecaccio come pipistrello alias sergio polin,
ha diverse funzioni.
La mattina, su indicazione dell'azienda per cui lavora il suo padrone, lo trascina con la sua poderosa dentatura da pastore tedesco,verso la porta perchè non vuole alzarsi per andare al lavoro.
Spesso chiama il taxi per farlo deportare al lavoro, ogni tanto usa il tessrino per entrare in ufficio, continuando amordergli le chiappe per incentivarlo ad andare in ufficio.
La moglie di pipistrello, inoltre gli ha dato l'incarico di annusargli la panza, per determinare tutti i grassi e i carhòboidrati assunti illegalmente durante il pranzo.
Inoltre è stata addestrata a tirare lo sciaquone, perchè Fanale alias sergio prelato, si dimentica di farlo spesso e volentieri  rischiando di intossicare tutta l'area.
Spesso dharma, quando  sotto casa del padrone, qualcuno occupa il parcheggio numerato del medesimo da una mano a compilare i verbali dei vigili,che si sa scrivono da cani, quindi tanto vale far scriver un cane.
L'ultima trovata di pipistrello, è stata far compilare a dharma il 730 a giugno, chiamasi cane commercialista.
Sapeva compilare il bollettino dellì'ici ma ormai non è più necessario.
C'è da chiedersi  in sicilia il ruolo del cane multi funzione. Il primo pensiero è stato delle forze dell'ordine che hanno addestrato i cani a fiutare i mafiosi. Il cane si è rifiutato di lavorare in quanto i cani guida riadattati siciliani sono omertosi per  natura.
 
 
 

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Miracolata e... conserva la pensione

 
PORCA MISERIA I SOLITI RACCOMANDATI..
 
 
   
FOLLONICA. La storia della guarigione-miracolo di Erminia Pane in un libro di Alcide Landini. Il noto commercialista follonichese è l'autore della prima e unica pubblicazione dedicata alla storia della donna guarita dalla cecità nel 1982 durante un pellegrinaggio a Lourdes, un miracolo che è stato ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa. Oggi Erminia Pane, nata a Napoli 68 anni fa, vive a Milano: la sua storia è raccontata nelle pagine di «Erminia Pane, uno strumento al servizio di Dio - La storia e le testimonianze di una miracolosa guarigione asseverata a Lourdes». Il libro è stato appena pubblicato da una piccola casa editrice grossetana, addirittura a spese dell'autore, ma alcuni grandi editori nazionali se ne stanno già contendendo i diritti. «Ho conosciuto Erminia Pane nel 2006, durante un pellegrinaggio a Lourdes spiega Alcide Landini e sono rimasto colpito dalla sua storia. Aveva saputo che sono un commercialista e mi chiese un parere, raccontandomi la sua vicenda con l'Inps: più volte aveva chiesto all'istituto di previdenza di non riconoscerle più la pensione che percepiva per la cecità, assicurando che era tornata a vedere dall'occhio destro nonostante fosse nata senza la retina». « Evidentemente però lo Stato continua Landini non crede ai miracoli, né li riconosce: gli esami dimostrano che Erminia Pane non ha la retina e di conseguenza l'Inps continua a versarle la pensione. Ma il miracolo sta proprio in questo: Erminia vede da quell'occhio senza avere alcun collegamento tra il bulbo oculare e il cervello. Un miracolo che si è compiuto il 3 novembre 1982 a Lourdes ed è stato riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa nel 199 4». Non solo: nel 1977 Erminia Pane era stata colpita anche da un grave aneurisma cerebrale che le aveva lasciato una emiparesi all'occhio sinistro, quello sano. «E quel giorno di novembre del 1982 conferma Landini è guarita anche dalle conseguenze dell'ictus. Negli ultimi anni ci siamo conosciuti e le ho suggerito di raccontare la sua storia: all'inizio era un po' titubante, poi ha accettato. Ho trascorso un paio di giorni a casa sua a Milano, registrando tutto, così è nato il libro. E' il primo e l'unico finora scritto sulla storia di Erminia Pane. Racconto la sua storia, riporto le testimonianze di chi l'ha conosciuta e alcune guarigioni che si devono a lei. Ci sono anche i documenti, referti medici compresi, e i messaggi che Erminia scrive nei momenti di trance. E' stata scelta da Dio come strumento di evangelizzazione. Ora ho fatto stampare il libro a mie spese da una piccola casa editrice grossetana in 4mila copie: attualmente conferma Alcide Landini è in vendita in una libreria di Lourdes e in una piccola libreria di Follonica. Ma presto potrebbe avere una diffusione assai più ampia in tutta Italia e non solo: le case editrici San Paolo e Mondadori hanno manifestato interesse a pubblicarlo».

di Gianluca Domenichelli


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Finanziamenti speciali per i clienti disabili

 

nostro commento in fondo ...

    Finanziamenti speciali per i clienti disabili

SONDRIO. Il Gruppo bancario Credito Valtellinese presenta "Creval Accanto a Te", un progetto che si pone l'obiettivo di sostenere la clientela diversamente abile attraverso una maggiore attenzione alla relazione e una linea di prodotti bancari vantaggiosi studiati per soddisfare le loro esigenze, che si inserisce nella gamma dei prodotti etici, come "Conto No Profit", "Creval Energia Pulita" e "Creval Lavoro Sicuro. Creval Accanto a Te offre un conto corrente a zero spese, tassi d'interesse competitivi, bancomat e dossier-titoli gratuiti ed un finanziamento agevolato per l'acquisto di mezzi di trasporto e di ausilio. Il tutto affiancato da un programma di form azione degli operatori di filiale avente come fine la sensibilizzazione degli stessi verso i bisogni della clientela.
Con Creval Accanto a Te sarà più facile l'accesso in Banca non solo per quanto riguarda l'eliminazione progressiva delle barriere architettoniche, ma soprattutto per l'accoglienza che verrà riservata dai nostri operatori alle persone diversamente abili grazie ai corsi di formazione e ad una guida informativa su alcune norme comportamentali, realizzata in collaborazione con l'ENS (Ente Nazionale Sordi) e con l'Unione Italiana Ciechi e l'U.N.I.T.A.L.S.I. di Sondrio.
«L'iniziativa nasce in un contesto di interventi rivolti al sociale: alla persona, ai suoi valori ed all'ambiente in cui essa vive, in linea con i nostri valori di solidarietà, sussidiarietà e vicinanza al territorio», afferma Miro Fiordi, Direttore Generale della Capogruppo Credito Valtellinese -. Creval Accanto a Te sottolinea l'elemento distintivo che caratterizza il nostro modo di essere e di fare banca, ovvero l'attenzione alla relazione personale a lungo termine con la clientela».
 
 
nostro commento 
 Mazza sonO alla frutta le banche, adesso ci provano, facendo dei corsi di formazione per  fregare i clienti con disabilità.
Forse perchè i disabili per adesso, non hanno perso le loro sovvenzioni.
Non ci provate, non siamo mica scemi e voi, non ci cascate. L'unica cosa da fare e stare alla larga, facendo anche dei corsi,  cari ciecati,  vi ipotecheranno il bastone bianco e il cane guida.
Cari bancari, sappiate che noi capiamo una sola lingua: se non costa o costa poco bene, altrimenti....segno dell'ombrello.
Di solito ci rivolgiamo alle banche online dove le commissiooni sono irrisorie, i prestiti li abbbbiamo già contratti con altre banche, quindi una volta ci fregate, due  no..

 

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L´uomo cieco del bosco

NOSTRO COMMENTO IN FONDO   
L´uomo cieco del bosco

Le storie. Si chiama Wolfgang Fasser, ha perso la vista a quindici anni, seduto davanti a un ghiacciaio mentre "quella lucentezza diventava sempre più opaca". Ha viaggiato, ha fatto il fisioterapista, ha lavorato in Africa, ha trovato casa in Toscana. Ora fa la guida di notte per i sentieri di montagna che "sente" soltanto lui
Quando entri nel buio esci dalla vita virtuale, quella sollecitata dalla velocità, governata dalle macchine, depositata su tutte le superfici che scorrono, rendendola inafferrabile.
La cosa curiosa è che di notte, nel sonno, dentro ai sogni io ci vedo Ci vedo benissimo Vedo la faccia di mia madre Vedo la neve, vedo il filo d´erba, la mosca, vedo tutti i colori

QUORLE (Arezzo). Wolfgang Fasser, cinquantatré anni, viaggiatore di molte avventure, abita ai margini del bosco di castagni e faggi, in una piccola valle di incanti, tra Arezzo e Poppi. Sta in una casa di pietra con il grande camino dove cuociono castagne. Ha un orologio parlante e il cellulare imita il pettirosso all´alba. Quando scende il tramonto e la notte allaga il bosco, lui inizia la traversata. Porta persone dentro a un viaggio speciale. Nel cuore nero del bosco. In quel buio che moltiplica tutti i rumori della vita - dal vento alla paura - e poi li inghiotte in un silenzio che sprofonda e rende vane tutte le mappe. Tranne la sua. Perché lui del buio conosce tutti i sentieri, ci cammina da molte vite, dal giorno in cui i suoi occhi si sono spenti per sempre. Dice: «Nel vostro mondo io sono cieco, ma al buio divento l´unico vedente».
Wolfgang è una guida in molti sensi. Parla lento, cammina lento, conosce l´invisibile. Cioè quella parte del mondo che più ci inquieta, che sempre ci sfiora, e che noi illuminiamo costantemente di suoni, relazioni a occhi spalancati, colori sonori, grazie agli schermi accesi e al lucente rumore di fondo che arreda tutta la nostra vita, tranne i misteri del sonno. Dice: «Quando entri nel buio, esci dalla vita virtuale, quella sollecitata dalla velocità, governata dalle macchine, depositata su tutte le superfici che scorrono, rendendola inafferrabile».
Nel buio del bosco ti metti in ascolto. Calcoli ogni rumore. Respiri e senti il respiro delle cose che ti circondano. Cammini un passo alla volta e, a ogni passo, tasti il terreno. Senti la terra, il sasso, la pendenza, la trappola delle spine, il passo che incontra l´ostacolo e quello che si fa strada. Dice: «La lentezza diventa il tuo equilibrio, che non è nuovo, è solo ritrovato». E il bosco di notte non è più il luogo dove non si vede e ci si perde, ma una via d´uscita dal labirinto diurno dei vedenti.
Lui l´ultimo giorno da vedente, l´ultimo giorno della sua prima vita, sulle montagne svizzere, cantone tedesco di Glarona, me lo racconta davanti al fuoco. Aveva quindici anni, da otto i suoi occhi si stavano spegnendo per una malattia senza scampo, la retinite pigmentosa. «Vivevamo in alto, tra i grandi prati. Eravamo cinque fratelli. Sempre nella luce, davanti alle montagne. Alla sera mio padre e mia madre ci riunivano e ascoltavamo Mozart. In primavera la malattia accelerò. Una mattina cominciai a salire verso le grandi pareti del Todi, 3.600 metri di altezza. A ogni passo le cose intorno si spegnevano. Mi fermai dopo sei ore. Ero seduto davanti al ghiacciaio, mi ricordo l´odore del vento, il sole che brucia. E quella lucentezza che diventava opaca. Era il sipario della mia nuova solitudine e quel giorno l´ho accettata».
Ma il silenzio ascoltato tra quelle rocce non è stata la sua resa, bensì l´inizio della sua ostinazione. Ci ha messo dieci ore a tornare indietro («c´erano dei punti in cui andavo a tentoni, era la prima volta») e da allora non si è più fermato. Ha imparato a leggere braille. Ha imparato a suonare il sax. Ha imparato a memorizzare lo spazio, le traiettorie, a sentire gli ostacoli, a percepire il pericolo. Ha imparato a fare il fisioterapista, tre anni di corso a Zurigo, il diploma, le mani che sentono con più chiarezza quello che nel corpo dell´altro non si vede. Ha imparato a chiedere aiuto, anche per strada, alle persone. Ha imparato a fidarsi. E ha imparato a conoscere i propri limiti. Poi un giorno è partito.
Ma non è andato dietro l´angolo. È volato quindicimila chilometri più a sud, tra le montagne del Lesotho, Africa meridionale, due milioni di abitanti, un solo ospedale, il Queen Elizabeth, un solo fisioterapista. «Sono arrivato nell´anno 1981. Paese poverissimo, malattie, polvere, un po´ di bestiame. C´era talmente poco - dice sorridendo - che anche un fisioterapista cieco era qualcosa». Ci è rimasto tre anni. Poi altri due. Camminava da un villaggio all´altro per andare a curare i suoi pazienti. «In Africa non cammini mai da solo, neanche di notte. Tutti mi conoscevano, tutti mi raccontavano la loro storia in cambio della mia». Quando non cura, Wolfgang insegna. Organizza dei corsi di formazione, una catena virtuosa che da allora a oggi ha formato decine di nuovi fisioterapisti e che lui va a rifinire ogni anno per sei settimane.
Quando rientra nel nostro mondo, Zurigo è diventata inabitabile: «Dopo l´Africa volevo un luogo dove poter respirare, camminare, vivere. Conoscevo la Toscana, la comunità di Romena, questi piccoli paesi dell´Anno Mille, le loro chiese e la buona gente. Sono arrivato la prima volta, il profumo di questi boschi mi ha conquistato, e sono rimasto».
Quorle ha ventotto abitanti. Sta nascosta dentro le spalle dell´Appennino. La valle ha canaloni e boschi intatti. Wolfgang li conosce palmo a palmo. Quando era vivo il suo cane Dusty li ha attraversati tutti, «insieme facevamo settanta chilometri a settimana». Ora che è rimasto solo («e in lutto da un anno») ha molto ridotto le visite, riceve i pazienti a casa, anche se c´è sempre qualche anziano che non si può muovere: «Magari sono bloccati dalla malattia. E allora vado io».
Wolfgang si alza tutte la mattine all´alba. Cammina almeno tre ore. Ammirare quello che non vede è il suo modo di pregare. Studia nuove strade e ripassa quelle vecchie. Ascolta. Talvolta gira con un microfono, la cuffia e il registratore. «Il microfono è il mio cannocchiale, l´ingrandimento che mette a fuoco tutti i suoni». Dice: «Le mie mappe sono mentali e sonore. Riconosco i punti in cui le pareti della valle sono più ampie. Ogni rumore è una traccia. Un trattore o una moto che passano sull´altro versante lasciano una scia luminosa dietro ai miei occhi. Poi ci sono gli animali che mi aiutano».
Riconosce la voce dei cani di ogni casa nei dintorni. I punti in cui passano i caprioli quando vanno a bere. I sentieri dove sale il bestiame. Sa dove sono i nidi, quello dell´allocco e della tortora, sente i richiami, calcola le distanze.
Dice che non si è mai perso davvero, nemmeno quando la neve cancella il bosco e tutti i rumori diventano cotone. Dice che non ha mai avuto paura davvero, nemmeno quelle volte in cui sente passare i lupi in branco: «Ce ne sono una trentina da queste parti. Mi è capitato di percepire la loro presenza prima ancora di sentirli. Occhi che ti guardano da molto lontano, come una piccola onda di energia che ti sfiora. Poi all´improvviso uno starnuto, o un soffio, o un cespuglio che si muove e quella sensazione che sparisce: se ne sono andati».
Quasi ogni giorno qualcuno viene a trovarlo. Specialmente giovani. Lui li mette in fila e li porta «a esplorare il bosco e anche un po´ se stessi». Per loro ha scritto con Massimo Orlandi un libro: Invisibile agli occhi, che è poi la sua storia, le molte cose viste da un uomo che vede in un modo speciale. «Con loro - racconta - riapro vecchi sentieri. Ce ne sono tanti abbandonati da queste parti, che magari ricordano solo i boscaioli più anziani».
Aprirsi una nuova strada nel bosco (della vita) è un buon insegnamento per i ragazzi. Vuol dire non accontentarsi della strada vecchia e cercare la propria. È il più antico dei viatici. Vale quanto l´ultimo segreto che mi svela prima del tramonto, prima del bosco di notte, quando parliamo del buio: «La cosa curiosa - mi dice allegro - è che di notte, nel sonno, dentro ai sogni io ci vedo. Ci vedo benissimo. Vedo la faccia di mia madre. Vedo la neve, il filo d´erba, la mosca, vedo tutti i colori». Che è poi l´elogio più bello del sogno e anche la sua forza, contro tutte le malattie della vita. 

 
NOSTRO COMMENTO.. Pino Corrias 
 
Col cavolo che ci faremmo  guidare nel bosco di notte da un cecato! Noi non ci fidiamo dei vedenti figuriamoci di un ciecagnolo.
A parte la retorica sempre un pò presente in questi argomenti, l'amico sopra sembra interessante.
Noi in africa ci siamo già, ma quella che crede nell'apartade, come in calabria.
Infatti a Rosarno adesso per  raccogliere le arance,  chiameranno polacchi, romeni e  così li potranno chiamare intracomunitari.

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martedì 5 gennaio 2010

Quel ragazzo senza braccia sul treno dell'indifferenza

nostro commento in fondo ...

   
Quel ragazzo senza braccia sul treno dell'indifferenza

Privo di biglietto perché impossibilitato a farlo mostra i soldi al controllore. Ma viene costretto a scendere dalla polizia ferroviaria
Quel ragazzo senza braccia sul treno dell'indifferenza

CARO direttore, è domenica 27 dicembre. Eurostar Bari-Roma. Intorno a me famiglie soddisfatte e stanche dopo i festeggiamenti natalizi, studenti di ritorno alle proprie università, lavoratori un po' tristi di dover abbandonare le proprie città per riprendere il lavoro al nord. Insieme a loro un ragazzo senza braccia.

Sì, senza braccia, con due moncherini fatti di tre dita che spuntano dalle spalle. È salito sul treno con le sue forze. Posa la borsa a tracolla per terra con enorme sforzo del collo e la spinge con i piedi sotto al sedile. Crolla sulla poltrona. Dietro agli spessi occhiali da miope tutta la sua sofferenza fisica e psichica per un gesto così semplice per gli altri: salire sul treno. Profondi respiri per calmare i battiti del cuore. Avrà massimo trent'anni.

Si parte. Poco prima della stazione di (...) passa il controllore. Una ragazza di venticinque anni truccata con molta cura e una divisa inappuntabile. Raggiunto il ragazzo senza braccia gli chiede il biglietto. Questi, articolando le parole con grande difficoltà, riesce a mormorare una frase sconnessa: "No biglietto, no fatto in tempo, handicap, handicap". Con la bocca (il collo si piega innaturalmente, le vene si gonfiano, il volto gli diventa paonazzo) tira fuori dal taschino un mazzetto di soldi. Sono la cifra esatta per fare il biglietto. Il controllore li conta e con tono burocratico dice al ragazzo che non bastano perché fare il biglietto in treno costa, in questo caso, cinquanta euro di più. Il ragazzo farfugliando le dice di non avere altri soldi, di non poter pagare nessun sovrapprezzo, e con la voce incrinata dal pianto per l'umiliazione ripete "Handicap, handicap".

I passeggeri del vagone, me compreso, seguono la scena trattenendo il respiro, molti con lo sguardo piantato a terra, senza nemmeno il coraggio di guardare. A questo punto, la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato.

La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno. Con la sua uscita di scena i viaggiatori riprendono a respirare, e tutti speriamo che la storia finisca lì: una riprovevole parentesi, una vergogna senza coda, che il controllore lasci perdere e si dedichi a controllare i biglietti al resto del treno. Invece no.
Tornano in due. Questa volta però, prima che raggiungano il giovane disabile, dal mio posto blocco controllore e capotreno e sottovoce faccio presente che data la situazione particolare forse è il caso di affrontare la cosa con un po' più di compassione.

Al che la ragazza, apparentemente punta nel vivo, con aria acida mi spiega che sta compiendo il suo dovere, che ci sono delle regole da far rispettare, che la responsabilità è sua e io non c'entro niente. Il capotreno interviene e mi chiede qual è il mio problema. Gli riepilogo la situazione. Ascoltata la mia "deposizione", il capotreno, anche lui sulla trentina, stabilisce che se il giovane non aveva fatto in tempo a fare il biglietto la colpa era sua e che comunque in stazione ci sono le macchinette self service. Sì, avete capito bene: a suo parere la soluzione giusta sarebbe stata la macchinetta self service. "Ma non ha braccia! Come faceva a usare la macchinetta self service?" chiedo al capotreno che con la sua logica burocratica mi risponde: "C'è l'assistenza". "Certo, sempre pieno di assistenti delle Ferrovie dello Stato accanto alle macchinette self service" ribatto io, e aggiungo che le regole sono valide solo quando fa comodo perché durante l'andata l'Eurostar con prenotazione obbligatoria era pieno zeppo di gente in piedi senza biglietto e il controllore non è nemmeno passato a controllare il biglietti. "E lo sa perché?" ho concluso. "Perché quelle persone le braccia ce l'avevano...".

Nel frattempo tutti i passeggeri che seguono l'evolversi della vicenda restano muti. Il capotreno procede oltre e raggiunto il ragazzo ripercorre tutta la procedura, con pari indifferenza, pari imperturbabilità. Con una differenza, probabilmente frutto del suo ruolo di capotreno: la sua decisione sarà esecutiva. Il ragazzo deve scendere dal treno, farsi un biglietto per il successivo treno diretto a Roma e salire su quello. Ma il giovane, saputa questa cosa, con lo sguardo disorientato, sudato per la paura, inizia a scuotere la testa e tutto il corpo nel tentativo disperato di spiegarsi; spiegazione espressa con la solita esplicita, evidente parola: handicap.

La risposta del capotreno è pronta: "Voi (voi chi?) pensate che siamo razzisti, ma noi qui non discriminiamo nessuno, noi facciamo soltanto il nostro lavoro, anzi, siamo il contrario del razzismo!". E detto questo, su consiglio della ragazza controllore, si procede alla fase B: la polizia ferroviaria. Siamo arrivati alla stazione di (...). Sul treno salgono due agenti. Due signori tranquilli di mezza età. Nessuna aggressività nell'espressione del viso o nell'incedere. Devono essere abituati a casi di passeggeri senza biglietto che non vogliono pagare. Si dirigono verso il giovane disabile e come lo vedono uno di loro alza le mani al cielo e ad alta voce esclama: "Ah, questi, con questi non ci puoi fare nulla altrimenti succede un casino! Questi hanno sempre ragione, questi non li puoi toccare". Dopodiché si consultano con il capotreno e la ragazza controllore e viene deciso che il ragazzo scenderà dal treno, un terzo controllore prenderà i soldi del disabile e gli farà il biglietto per il treno successivo, però senza posto assicurato: si dovrà sedere nel vagone ristorante.

Il giovane disabile, totalmente in balia degli eventi, ormai non tenta più di parlare, ma probabilmente capisce che gli sarà consentito proseguire il viaggio nel vagone ristorante e allora sollevato, con l'impeto di chi è scampato a un pericolo, di chi vede svanire la minaccia, si piega in avanti e bacia la mano del capotreno.

Epilogo della storia. Fatto scendere il disabile dal treno, prima che la polizia abbandoni il vagone, la ragazza controllore chiede ai poliziotti di annotarsi le mie generalità. Meravigliato, le chiedo per quale motivo. "Perché mi hai offesa". "Ti ho forse detto parolacce? Ti ho impedito di fare il tuo lavoro?" le domando sempre più incredulo. Risposta: "Mi hai detto che sono maleducata". Mi alzo e prendo la patente. Mentre un poliziotto si annota i miei dati su un foglio chiedo alla ragazza di dirmi il suo nome per sapere con chi ho avuto il piacere di interloquire. Lei, dopo un attimo di disorientamento, con tono soddisfatto, mi risponde che non è tenuta a dare i propri dati e mi dice che se voglio posso annotarmi il numero del treno.

Allora chiedo un riferimento ai poliziotti e anche loro si rifiutano e mi consigliano di segnarmi semplicemente: Polizia ferroviaria di (...). Avrei naturalmente voluto dire molte cose, ma la signora seduta accanto a me mi sussurra di non dire niente, e io decido di seguire il consiglio rimettendomi a sedere. Poliziotti e controllori abbandonano il vagone e il treno riparte. Le parole della mia vicina di posto sono state le uniche parole di solidarietà che ho sentito in tutta questa brutta storia. Per il resto, sono rimasti tutti fermi, in silenzio, a osservare.

di Shulim Vogelmann (l'autore è scrittore ed editore) 
 
 
NOSTRO COMMENTO ..
 
Cominciamo bene il 2010 una notiziola niente male.
Naturalmente resta inteso che se tutto quello scritto sopra fosse verificato e confermato ci sarebbe da farsi venire l'ulcera.
Prima di tutto se noi viaggiatori dovessimo applicare la normativa, soprattutto sull'accessibilità piena, di treniitalia non partirebbe neanche un treno.
Quindi le ferrovie patrie prima di tirare fuori i regolamenti, farebbero bene a non scagliare la prima pietra. Generalmente il personale viaggiante  per  convinzione o per obbligo professionale, mediamente è disponibile e ragionevole.
In questo caso ravvediamo alcuni comportamenti che rasentano la maleducazione: discriminazione, irragionevolezza, mancanza di sensibilità da nonconfondere con il pietismo, impedimento ad un viaggiatore di proseguire per la sua meta, dunque incostituzionale ecc.
La polizia ferroviaria avrebbe dovuto far ragionare il cohntrollore, evidentemente in astinenza da  contravvenzioni e probabilmente infastidita dall'atteggiamento antiestetico del viaggiatore in questione.
Noi ravvisiamo tanti d quei comportamenti, di rigidità mentale, insensatezza da regolamento alla mano, da rasentare la denuncia penale nei confronti di chi li attua.
La cosa che ci dispiace è che il passeggero non ha potuto fare il segno  dell'ombrello ai poliziotti e al controllore, magari l'avrebbero tratto in arresto, ma si sarebbero resi conto che il carcere spesso non è accessibile per chi ha un handicap.
Da notare che l'applicazione del regolamento va sempre accostato con la realtà del momento vissuta dai viaggiatori, dobbiamo indagare ma ci sembra che una persona disabile non sia obbligata a fare il biglietto in stazione ma può richiederlo a bordo senza aggravi.  Naturalmente è scontato che le biglietterie automatiche sono ad altezze raggiungibili solo da un fantomatico uomo medio di  1.80 dotato delle dita dell'uomo ragno. Provare  per credere.
Per esperienza personale abbiamo notato che l'accanimento dei controllori, viene espresso nei confronti di cittadini viaggiatori normali, la teppaglia e la gente poco raccomandabile diventa invisibile agli occhi dei solerti tutori del regolamento ferroviario.
Interi squadroni di ultrà, devastano convogli senza essere molestati dal regolamento. Naturalmente a volte bisogna applicare il regolamento senza correre rischi.
Ammettiamo per pura ipotesi, che questo ragazzo volesse fare il furbo, come spesso capita a tutti nel nostro paese.  Si poteva far finta di niente come si fa spesso con la teppaglia. Magari facendogli  capire che lo avevano pinzato che era stato graziato perchè  sotto le feste. Riconoscendogli un pizzico di iniziativa rappresentata dal fatto di marciarci un pò, che sarà mai..
 
 

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