sabato 22 novembre 2008

retorica pelosa.


Disabilità chiama solidarietà
16-11-2008
L'Arena

Se ti azzardi a dire ad una persona: «sei un handicappato», sai bene di non fare un complimento, ma una offesa, soprattutto se la parola è assunta con valore simbolico. E non dici: «hai un limite», come vorrebbe la traduzione italiana dall'inglese «handicap».
Forse anche per essersi resi conto dell'equivocità delle parole applicate a chi presenta dei limiti fisici o psicologici o mentali, si è passati ad una terminologia vellutata: «Diversamente abili», nella quale si accentuano le positività insite in tale soggetto, ma lasciando pur sempre trasparire ciò che non si vuol più proferire apertamente, continuando a pensarlo. In realtà, lo stato d'animo e la valutazione nei suoi confronti rischia di non cambiare gran che di registro.
Se invece si avesse il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, si risolverebbero molti problemi, dando loro una precisa collocazione. Si potrebbe, ad esempio, ricorrere ai termini «limite, disabilità», che non evocano affatto negatività globali.
Semplicemente segnalano dei dati di evidenza, dai quali nessuno è immunizzato.
In altre parole, nessuno di noi è senza limiti, totalmente abile. Ognuno è soggetto a limiti e disabilità, sia pure di diversa entità.
Esemplifichiamo anche umoristicamente: ci può essere uno scienziato che sa tutto del caffé e non si è mai preso la briga di prepararsene uno. Scienziato nella conoscenza di tutti i processi, dalla piantagione alla macinazione, ma disabile nel farselo da sé, quando ne ha voglia. Anche lui ricorre ad una persona abile in materia, come può essere sua moglie o un barista.
Banale esempio che può dirla lunga su infiniti esempi che riguardano la vita di tutti i giorni. Siamo tutti abili in alcuni settori e disabili in altri. Il che ci fa concludere che siamo bisognosi gli uni degli altri; che nessuno è in grado di fare tutto da solo, ma ha bisogno dell'aiuto di qualcuno.
Questo per dire che noi, strutturalmente, siamo bisognosi di solidarietà da parte degli altri, e siamo nello stesso tempo chiamati alla solidarietà.
Fatte queste debite precisazioni, possiamo ora spendere una parola in merito nei confronti di coloro che sociologicamente sono etichettati come «diversamente abili». Ce ne sono di diversa natura: chi ha limiti nel fisico, nella psiche, nell'uso delle facoltà conoscitive...Ci stanno davanti. Inerti.
Fortunatamente oggi si muovono o vengono condotti in carrozzella in mezzo al pubblico con molta più naturalezza rispetto a tempi passati. Le stesse strutture architettoniche si adeguano sempre di più alla possibilità di essere usate anche da loro.
Certo, queste persone manifestano dei limiti. Ma non sono inutili per la società, o solo un peso. Sono anche una grande risorsa. A patto che sappiamo intercettarla come risorsa. E metterci in comunicazione con loro.
Anche noi abbiamo bisogno di loro. Se ben considerata, la loro condizione è per noi una scuola di vita ed essi, ciascuno di essi, collocati sull'alta cattedra del limite, dell'infermità e del dolore, ci possono insegnare valori che sono a rischio di estinzione.
Vale la pena di suggerire ai giovani e ai non più giovani di farsi loro alleati e compagni di viaggio. Di mettersi al loro servizio specialmente quando sono in crisi esistenziale di identità.
Un po' di tempo passato assieme a loro, a loro servizio umile e naturale, è un anticorpo sicuro contro il vuoto interiore di chi sta sperimentando l'insignificanza della propria vita, «handicappata» dalla viziosità e dal disinteresse su molti fronti. A contatto diretto con i disabili ci si ricrea. Si prende una boccata di ossigeno spirituale. Ci si rigenera. Mica male come cura dello spirito. Basta provare.
Per molti è una occasione propizia per riscoprire la fortuna che ha baciato la propria vita; per mettere a frutto talenti altrimenti destinati a rimanere sepolti, specialmente il talento della sensibilità e della solidarietà; di incontrare Gesù Cristo certamente presente in ogni persona, a cominciare da chi è nella sofferenza. Divenendo in tal modo mano accarezzevole e segno vero di una presenza tenerissima e invisibile, quella di Cristo che è solidale fino alla croce con i disabili.
Una croce che diventa meno insopportabile grazie ai tanti cirenei che si alternano nel portarla e che redime il cuore di chi la soccorre.

Giuseppe Zenti

NOSTRO COMMENTO.

Maremma Handicappata!Non volevamo mettere mano a questo ginepraio di cose in qualche misura, secondonoi giuste, ma non si può fare diversamente.

Allora, prima di tutto dipende dalla disabilità, alcune disabilità molto gravi necessitano di gesti e professionalità adeguate. Il mondo del volontariato può dare sicuramente una mano alle famiglie, alleggerirle dal loro faticoso percorso di vita con i figli e parenti con handicap seri. Ma quello che ci infastidisce, come al solito, è la retorica che si cela dietro queste prediche che  hanno un fondamento religioso. Legittimo essere religiosi e farne una motivazione,ma non è necessario sbandierarla come un feticcio, l’importante è  dare una mano. Ma se vuoi dare un aiuto al prossimo non ti paludare di questa patina celeste che soffoca una banale verità: la natura fallace rende handicappati molti esseri umani, gli handicappati non sono né utili né inutili, sono e basta. Per fortuna in quest’epoca di civiltà l’attenzione su queste persone (compresi noi)  è forte, ed è possibile combattere per avere più spazi e risorse.

Noi rigettiamo il concetto, che per stare meglio devi stare con chi sta peggio. Basta con questi valori da trovare con chi ha la sfiga di avere una limitazione fisica e mentale, per sentirsi meglio. Noi non abbiamo verità speciali da offrire, semplicemente molti di noi combattono per stare a galla e godersi la vita il più possibile, senza farla tanto lunga.  Spesso invece molti compagni di handicap si chiudono in se stessi e rigettano ogni aiuto,cosa  triste ma è una scelta. La sofferenza non è ne bella ne auspicabile, insegna al massimo a chi la vede dall’esterno  di toccarsi gli zebedei per non subirla mai personalmente. Ccomunque dato che siamo così  lungimiranti e vi facciamo stare così bene dovremmo mettere un tariffario.

Non si può essere più semplici, affrontare chi ha limiti  se ne si  ha voglia, senza farla tanto lunga? No, niente da fare chi soffre può insegnare e servire da esempio! Chi soffre è deve combattere ogni giorno ha un solo desiderio: non soffrire  più, e vedere sparire il proprio handicap, non è difficile da capire!

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