martedì 25 marzo 2008

reincarnazione...


 
Conquistare il tetto del mondo rappresenta per loro un riscatto e una redenzione
14-03-2008
La Repubblica

NEW YORK - Alla fine del 2004 sei ragazzini tibetani ciechi sono riusciti a scalare il Lhakpa Ri, a quota settemila metri, una delle cime più alte dell´Himalaya. Il gruppo è stato guidato da Erik Weihenmayer, un alpinista statunitense che è stato il primo non vedente a raggiungere in passato la cima dell´Everest. Con loro anche Lucy Walker, una regista inglese che ha realizzato un documentario intitolato "Blindsight" che segue tutte le tappe della scalata.
Ma c´è un elemento che rende questa straordinaria impresa fisica esemplare ed esaltante anche da un punto di vista sociale e culturale: nella tradizione tibetana il non vedente è un reietto della società, e il suo handicap è considerato una punizione per i peccati di vite precedenti. La scalata sul tetto del mondo rappresenta quindi un riscatto e una redenzione, una ribellione e un modo di riappropriarsi e celebrare il proprio corpo.
All´uscita sugli schermi americani, "Blindsight" suscita la stessa passione con cui fu accolto qualche anno fa "The sound and the fury", il documentario dedicato alla comunità di sordomuti che rifiutavano il trapianto della coclea per poter salvaguardare l´esistenza del linguaggio dei gesti. Ma l´approccio è diverso: il primo film analizzava il paradosso secondo cui l´handicap diveniva un motivo di identità e di orgoglio. "Blindsight" è invece costruito sulla lotta per sconfiggere la discriminazione e la superstizione, e si trasforma in una celebrazione dello spirito umano.
Il cinema ha sempre raccontato con passione, e a volte anche con opportunismo commerciale le vicende dei portatori di handicap, ma ciò che rende particolarmente significativo il documentario della Walker è la combinazione tra il film di denuncia e quello di tipo "ispirazionale". Il progetto nasce tuttavia grazie alla caparbietà di Erik Weihenmayer, che dopo essere riuscito a eguagliare l´impresa di Edmund Hillary, avvicinò la produttrice Sybil Robson Orr con l´intento di proporle di finanziare e filmare la sfida. L´idea di portare sei ragazzini non vedenti sul Lhakpa Ri le era stata data dalla loro insegnante tedesca Sabriye Tenberken, a sua volta cieca, e fondatrice di "Braille without Borders". La Tenberken, che perse la vista da bambina, negli anni novanta girò a cavallo tutti i villaggi più remoti del Tibet nel tentativo di convincere i genitori di bambini ciechi a mandare i figli al centro che all´epoca stava fondando a Lhasa. Fu lei che disse alla produttrice che avrebbe accompagnato i ragazzini nell´impresa spiegando che la sua esperienza, unita a quella di Weihenmayer, avrebbe minimizzato i rischi. La Robson era una grande appassionata di alpinismo e da tempo cercava un progetto valido per la Walker, della quale aveva apprezzato "Devils´playground", un documentario sulle adolescenti della comunità Amish. Il rischio e la forza del progetto a quel punto sedussero anche un uomo di cinema decisamente più mainstream come Steven Haft (è il produttore dell´Attimo fuggente), che si associò nell´impresa.
Per quanto possa sembrare incredibile, la spedizione fu rinforzata solo da una coppia di medici e pochi assistenti alla produzione. Ben presto l´entusiasmo di un´avventura che sembrava impossibile cominciò a scontrarsi con una realtà di superstizione e discriminazione ben più grande di quanto potessero immaginare gli autori. Sin dall´inizio delle ricerche, si resero infatti conto che in Tibet i non vedenti non solo sono considerati dei reietti, ma non hanno alcun diritto a qualunque tipo di assistenza medica. Una volta selezionati i sei ragazzini, e deciso l´itinerario migliore per raggiungere la vetta del Lhakpa Ri, il film ha cominciato ad avere una serie di problemi di ordine politico. Le autorità della regione cinese dello Szechuan, nella quale è ambientata parte del documentario, imposero l´approvazione su ogni inquadratura, chiedendo che fosse essere presentata, motivata a discussa. Una delle scene che ne ha risentito maggiormente è stata quella che vede uno dei giovani protagonisti, chiamato Tashi, ricongiungersi con il padre dopo che quest´ultimo lo aveva venduto come mendicante nove anni prima. La pressione delle autorità comuniste si allentò solo grazie alle condizioni estreme dei luoghi prescelti, e per gran parte delle riprese in altura i cineasti sono riusciti a lavorare in libertà. Al punto che emergono anche differenze di fondo nell´approccio tra i protagonisti della spedizione: l´americano Weihenmayer tende in ogni momento ad esaltare il trionfo dell´individuo di fonte alle avversità di ogni tipo, mentre la tedesca Tenberken celebra la vittoria del gruppo.
I bambini sembrano poco interessati al dibattito: ce ne è uno che proclama durante una scalata rischiosissima «i nostri occhi sono ciechi, ma non il nostro cuore» ed un altro «la montagna mi ha fatto sentire umano».

ANTONIO MONDA

Nostro commento…

Allora parliamoci chiaro: casualmente dei bambini dopo essersi fatti un mazzo così esprimono questi pensieri poetici, ma per favore!

La cosa che ci irrita essenzialmenteche la società tibetana releghi dei bambini o adulti ciechi in una “casta” inferiore, la reincarnazione è un ipotesi, come tutte le religioni d’altronde, ma l’emarginazione sociale subita dai ciecati, se quello detto sopra è vero , è una realtà che bisogna combattere, una superstizione gratuita che anche il grande regolatore della reincarnazione, ammesso che esista, rigetterebbe senz’altro.

Allora uno che muore di fame ha mangiato troppo nella vita precedente? Un muratore ha faticato troppo poco prima di essere uno che si fa un mazzo così?

Caro D.L. spero che tu non approverai questi atteggiamenti, altrimenti saresti una grande delusione come d’altronde è una grande delusione l’atteggiamento dei  cinesi nei confronti del TIBET. Cara CINA non serve usare la violenza, aprite qualche ristorante cinese, invadete commercialmente il Tibet e non bisogna mica alzare sempre le mani!

Infatti per non incorrere in” filo cinesismo”ci sembra assurdo che un popolo come quello tibetano non possa essere libero di manifestare tutto il suo pensiero contro un gigante che lo schiaccia, quindi abbasso le Olimpiadi! Voglio vedere chi di noi non vedrà gli azzurri mentre si cimentano per una medaglia d’oro! In ogni caso noi saremo coerenti con il nostro scritto “non vedremo gli atleti” di Pechino!!!!


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